lunedì 28 dicembre 2015

Io, te, un glicine e un emù.

Ciao amore mio, per farti gli auguri scrivo a Costa, spero ci sia lei stasera.
Poco fa ho pensato di nuovo agli emù e a quel tuo fondo di caffè un po' manomesso di oggi. E ho pensato che un emù prenderebbe bene il posto di quell'animale strano. Io, te, un glicine e un emù.
Direi che la base è buona. Poi ci aggiungerei un risciò e delle amache attaccate da qualche parte.
Comunque non era questo quello che volevo dirti, sono pensieri che si sono intrufolati distraendomi.
Anche se è dolce pensare a un qualcosa del genere insieme.
Ecco, lo sapevo, adesso le labbra mi prudono. No, non ho mangiato niente a cui sono allergico, mi sono solo venute in mente le tue, di labbra. E mi è venuto in mente che, adesso, sulle mie ci starebbero veramente bene.
Se penso a che bacio ti darei mi vengono in mente quelle lampade con quella specie di lava colorata dentro che si muove fluida.
Come al solito mi ritrovo a baciarti di contrabbando facendo finta di scriverti cose.
Quando puoi ringrazia mamma e papo, perchè meglio di così non avrebbero potuto farti. 
Lascia perdere che in questi giorni ci girano le palle, lascia perdere che quando siamo insieme ne usciamo come da un ritiro mistico di quaranta giorni nel deserto. 
Te mi fai stare bene dentro. 
E non poter essere lì ora mi fa veramente sentire un ingrato.
Per rimediare a ciò mi sto mettendo a cucinare dei dolci. Spero di non esplodere con i fornelli e tutto.
In caso accada sappi che ti ho amata e ti amo come un viaggiatore senza bussola ama la stella polare e come i bimbi amano la cioccolata Milka e i cartoni animati.
O, più semplicemente, come un uomo ama una donna.
Auguri amore mio.

domenica 3 maggio 2015

Lettera 22

3 maggio 18:54

Lettera 22.
Ho beccato un tipo a cui non piace Murakami, ganzissimo. Riccio, pizzetto e baffetti e occhialetti.
Mi sono preso un the al limone e allo zenzero.
Ho la camicia bianca con una macchietta.
Era tanto che non la mettevo. In realtà era tanto che non mi vestivo in questo modo.
Camicia di lino bianco a mezze maniche, pantalone blu scuro, mocassini Vans e giubbotto di pelle.
Direi che mi leggo Murakami.

Mentre mi avvicino agli scaffali con i libri, il signore al tavolo accanto al mio mi ferma. Mi chiede se può vedere il libro che ho in mano. 
Glielo porgo.
Mi dice che ama gli scrittori giapponesi, la sua preferita è Banana Yoshimoto.
Io di lei ho letto solo Kitchet, che anche lui mi nomina.
Quando la conversazione sta per esaurirsi come la fiamma di una candela senza ossigeno, accade qualcosa.
Si è aperta una fessura da qualche parte.
Ed io e quest'uomo abbronzato e dai capelli corti e bianchi cominciamo a parlare ognuno dei propri interessi.
Sento che può insegnarmi tanto.
La giovane donna che è con lui mi dice divertita che sottolinea tutto in maniera particolare.
-Io sottolineo selvaggiamente.- ridacchio.
-Ah no, lui proprio con il righello e tre colori.-
Mi viene in mente Valentina, anche lei sottolineava così.
Mi ha raccontato che ama la fisica dei quanti, la matematica, la biologia e tutto ciò che termina con -gia.
E che quando ha capito le meccaniche di ciò che spiega Einstein ha fatto un balzo dalla sedia e si è messo a piangere.
Ha un orecchino al lobo sinistro, come me. Il suo è un cerchietto fine con una stella di David a mo di ciondolo.
Gli ho detto che lo capisco. Che io ho la passione per il lato più romantico della questione, per le energie sottili e le percezioni.
Ed è bello vedere come tutto poi arriva alla stessa destinazione.
-L'importante è arrivarci.- mi dice lei.
E ho raccontato anche di Sofia. Che ci siam conosciuti quest'estate, mentre lavoravo, il giorno stesso in cui sarebbe ripartita per Roma, dove abita. Che sono andato a trovarla alla stazione con una foca di peluche, perchè le librerie erano chiuse e non potevo prenderle Oceano Mare.
Le è piaciuto il fatto che ho voluto fare ciò che mi andava, senza aspettarmi niente. E che a settembre ci siamo rivisti per davvero. Che ero sceso a Roma senza sapere se l'avrei vista o meno. Ci siamo visti. Sono riuscito a darle Oceano Mare. Che adesso è maggio e sabato prossimo saremo insieme.
-Insomma è la tua ragazza.-
-Si.-
Non mi sembrava il caso di spiegare l'idea che abbiamo di rapporto.
Ci siamo salutati, poco dopo, con l'intenzione di rivederci e chiacchierare di qualche argomento. Non ci siamo scambiati i numeri di telefono, non gli ho dato il mio biglietto da visita. Solo due strette di mano e i nomi.
Dovrò venire qua più spesso.
E comunque odio il fatto che mi scordo subito i nomi delle persone.

I più belli di questa serata alla ricerca del niente.

2 maggio 2015, 23:42

Sono riuscito ad uscire di casa.
Stasera ho qualcosa addosso, non capisco molto bene, è come una patina appiccicosa che mi infastidisce molto.
SIcuramente se potessi parlare con Sofia sarebbe molto più lieve, ma è qualcosa che adesso devo affrontare da solo.
Anni fa mi sarei sicuramente tagliato.
E' bello sapere che anche solo l'idea mi sembra assurda.
Sono al Margherita, 1Q84 e ginseng.
Fuori un ragazzo suona la chitarra. E' bello vedere il mondo.
Anche quando ho questa cosa addosso lo vedo proprio bello e interessante.
Credo che farò un giro tra i libri.
Mentre Sofia fa l'equilibrista sulla montatura dei miei occhiali.

Mezzanotte e 07.
-Sono uscito in cerca di non so bene cosa.-
-In cerca di niente. E di tutto.-

Se saprai starmi vicino,
e potremo essere diversi,
se il sole illuminerà entrambi
senza che le nostre ombre si sovrappongano,
se riusciremo ad essere "noi" in mezzo al mondo
e insieme al mondo, piangere, ridere, vivere.
Se ogni giorno sarà scoprire quello che siamo 
e non il ricordo di come eravamo
se sapremo darci l'un laltro
senza sapere chi sarà il primo e chi l'ultimo
se il tuo corpo canterà con il mio
perché insieme è gioia...

Allora sarà amore
e non sarà stato vano aspettarsi tanto.

-Neruda


-Elisabetta!-
Ha gridato un tipo da un'automobile.
Forse è ubriaco, in fondo è sabato sera. E cerca questa Elisabetta.
Urla di nuovo, più lontano un poco.
Ma Elisabetta dov'è?
Due ragazzi cominciano a correre, lungo la Passeggiata.
Lei a sinistra, lui a destra.
Si dividono e uniscono a seconda delle persone che si trovano davanti.
Sono partiti all'improvviso, come se un pensiero comune avesse detto loro di gareggiare per qualcosa.
Mentre guardavo le loro schiene credo di averli sentiti ridere.
Erano belli.
Forse i più belli di questa serata alla ricerca del niente.
L'aria è fresca, ma fuori si sta bene.
Ho camminato un bel po', le gambe scivolavano da sole lungo il viale.
Sulla spiaggia hanno già messo gli ombrelloni.
I negozi, i bar e i ristoranti restano aperti un po' di più.
Ti vorrei qua, accanto a me, vorrei portarti a far vedere qualche posto carino.
Vorrei chiederti di uscire con me a prendere un caffé. Offro io.
Ovviamente poi ti bacerei.
E ti chiederei ancora se i caffé che fanno a Roma hanno lo stesso sapore.
Mi risponderesti che forse sì, dipende se io ci sono oppure no.
E che gli emù sono simili agli gnu. Solo senza accento.
Mi piacerebbe tenerti stretta a me, mentre camminiamo piano, un braccio intorno ai fianchi.
Alle spalle non ci arrivo, si sa.
E quindi il caffé. Tu.
Per me un ginseng.
Poi se ti va andiamo a ballare.
Che mi piace guardarti mentre di muovi.

sabato 2 maggio 2015

Quel famoso Tom Collins

2 maggio, le 3 quasi 4 (toh, 2 3 4)

Sono un po' triste in questi giorni.
Un po' perchè tutto ciò che tocco non è la tua pelle.
Non mi ricordavo bene cosa volesse dire sentire la mancanza di qualcuno.
Tu, stasera, mi manchi davvero tanto.
Sento l'odore del grlicine, rientrando a casa, e una voragine mi si apre nel petto.
Cazzo, mi si è pure bruciata la brioche che avevo messo a scaldare.
I bordi sono diventati tutti marrone scuro.
E insomma, stasera mi manchi.
Non so darti un termine di paragone preciso. E' una cosa che mi disturba molto però, perché mi piacerebbe davvero tanto averti qua, adesso, seduta sulle mie gambe.
E mi piacerebbe accarezzarti il viso, i capelli, accarezzarti il naso con il naso e le labbra con le labbra.
Quando apro le porte, tocco gli interruttori della luce, il volante, le coperte, le mie stesse mani sentono che qualcosa manca.
E' una percezione, hanno memorizzato la sensazione che si prova ad accarezzare le tue orecchie, il tuo seno.
C'è questa memoria tattile che non va via.
Ed è un po' difficile spiegar loro che non ci sei, che non ti accarezzeranno.
Adesso sono un po' più triste.
Ho tanta voglia di viverti, di passare molto più tempo con te.
Più che del tempo maggiore, una minore distanza tra la volta in cui ci vediamo e quella dopo.
E' un tempo distribuito male, quello che abbiamo.
E due settimane sono davvero tante.
Non sai quanto spero di poterti stringere come e quando voglio, il più presto possibile.

Hey there Delilah, what is like in New York City?
I'm two thousand miles away, but girl tonight you look so pretty.

In realtà non lo so se tonight you look so pretty, ma la mia immaginazione ti ha vestita molto bene.
Un qualche tuo vestito nero, lungo fino a metà coscia.
La schiena seminuda che lascia vedere la linea della colonna vertebrale e delle scapole.
I capelli sciolti, pettinati, lavati e lisci (non come quando siamo insieme, selvaggia).
Un po' di matita, un po' di rossetto.
Parleremmo di emù (che strano il nome emù, che poi non so bene se si scrive così).
Berremmo qualche cocktail strano e della birra.
Sei bellissima, a parlare di emù, a bere birra e forse a bere quel famoso Tom Collins.
Vestito metà coscia, nero.
Schiena scoperta.
Capelli sciolti, pettinati, lavati e lisci.
Un po' di matita, un po' di rossetto.
Farei l'amore con te tutta la notte.

domenica 12 aprile 2015

Un'invincibile estate

Nel bel mezzo dell’odio,
ho trovato che c’era, dentro di me, un invincibile amore.
Nel bel mezzo delle lacrime,
ho trovato che c’era, dentro di me, un invincibile sorriso.
Nel bel mezzo del caos,
ho trovato che c’era, dentro di me, un’invincibile calma.
Nel bel mezzo dell’inverno,
ho infine imparato che vi era in me un’invincibile estate.
E che ciò mi rende felice.
Perché afferma che non importa quanto duramente il mondo vada contro di me,
in me c’è qualcosa di più forte,
qualcosa di migliore che mi spinge subito indietro.

-Albert Camus

giovedì 9 aprile 2015

What a poet

    Rimembri, oh Sofia
Il tavolo in legno massello della cucina
Su cui eri solita respirare ansante
Mentre le mie labbra al limone ti mordevano la pelle
E diegotto, mamma, il telefono, scassavano le palle?
    E i pomeriggi presi tra le mani e tramutati in carne,
Su quel tavolo o su altri, tutto un po' si rassomiglia
La storia è sempre quella, quando non è mamma
È babbo
Quando non è babbo
È franga

    Rimembro con chiarezza mio cavalier adorato
Il duro legno su cui mi possedesti
E il tuo respiro, e i tuoi occhi
In quel lontano dì d'estate profumato

    D'estate na sega,
(Sì,  anche letteralmente parlando)
Confondi forse la pelle
(Le palle pare impossibile)
Mia con quella di altri?
    O forse solo metaforicamente le tue parole si riferiscono alla stagione piu calda
Quella in cui vidi per la prima volta i tuoi occhiali vintage
E così l'autunno si profuma d'estate

   Sorrider mi fanno le tue parole
E la cosa mi è lieta in questa cupa serata
È dolce anche il tuo sottile umorismo (sottile una sega)
anche se spesso spari cazzate.
Ora lasciami spiegar quel che prima ho grossolonamente riportato
La mia mente non inganna
Era un giorno di settembre e sì le foglie cominciavano lente a cadere
Ma un dubbio mi pervade, riguardante le tue capacità intellettive
Credi forse che, per il sol volo delle foglie, settembre sia un mese autunnale?

    È gradevole come tutto assuma una sfumatura color seppia utilizzando questi toni
Il mio intelletto da sempre ha diviso le stagioni non nella maniera canonica, ahimè
Giugno luglio e agosto da soli formano l'estate.
L'autunno ha solamente i due mesi successivi. Non lo trovi buffo?

   Ritengo che insieme potremmo fare la felicità di molti psicologi
Una giovane donna complessata e un giovane trans ammalato
E i loro cuori infervorati per un buffo agone poetico
per il quale d'altronde si scambiano sensati (e piccanti) concetti
Ma ora, riflettendo e scavando con cura nel giardino delle mie credenze
Mi accorgo d'un tratto di aver una voragine
L'autunno stagione decisamente amata, in me non è presente

    È una terribil cosa il non aver interiormente l'autunno
Ma se tornassimo all'ambito piccante? Zenzero e peperoncino?

    Posso mandarti se lo ritieni necessario
Dato che in cucina una capra ti fa una pippa
Qualche semplice ricetta
Che possa stuzzicarti, ovviamente quanto basta, il palato e lo spirito

   Conosci bene, mia amata
Le mie abilitá con i fornelli
Mi aggradano di piu tavoli, sedie, divani e materassi
È lo spirito che mi piace innalzare

    Il mio cuore si imbizzarrisce
e parte al galoppo se usi certi termini.
Ma non divaghiamo. In effetti quel che dici non è sbagliato
Ora che ci penso
se esiste un tavolo e la panna spray
Perchè mai un uomo furbo
dovrebbe anche solo desiderare di avvicinarsi al fornello, se non per farsi un the?

   Ogni uomo di cuore passionale dovrebbe preferire la panna spray
A fornelli e pasta
Usata a dovere diventa uno strumento propiziatorio delle arti amorose, come giá ti accennai
   E ogni donna emancipata e libera dovrebbe poter godere dei molteplici voli pindarici che la mente compie.
Preparo qualcosa?

   Amor tu voli continuamente
Pindaro, mente, capoeira, anima
Ma considerata la natura del tutto, o forse più quella della mente umana
sappiam che una cosa raramente è come sembra
   Come ben sa pirandello vi son più sfaccettature,
Allora penso "la questione della panna e dei fornelli non sarà mica una scusa?"

   Una scusa?
A me sembrava di essere stato quanto più diretto possibile
Ovviamente non intendevo fare con te ciò che la cipolla fa con il soffritto
Ma ben altro, giá conosciamo a cosa ci porta lo stare vicini
Quindi perche non cimentarsi in tour gastronomici?

   Sicuro che non sei allergico ai latticini?

   Sono intollerante a latticini e derivati,
Dalle tue labbra esce la verità
Ma sai giá che preferisco avere poi il cagazzo piuttosto che rinunciare a qualcosa di cosi bello.

   L'amore può tutto
Anche girare il globo alla ricerca della panna di soia

   Quando ci vedremo arrivare con tubetti di panna di soya (con la y o con la i?)
Sapremo allora che davvero possiamo chiamarlo amore
E sará bello restare tutta la notte tra le tue gambe 

L'asfalto sotto le mie scarpe, si parla di due anni fa

Era grigio il cielo sopra Bologna.
Era grigio l'asfalto sotto le mie scarpe.
L'aria era statica. Pregna dell'odore degli scarichi delle auto. Non c'erano stati problemi lungo l'autostrada, non mi ero annoiato, mi piaceva guidare, finché c'erano soldi per benzina e casello.
Il Tom Tom era stato fedele, mi aveva portato tranquillamente a destinazione.
Non restava che trovare parcheggio.

E' come tornare ogni volta sul luogo di un assassinio.
Lo danno ancora il bicchierino con l'acqua assieme al caffè, al bar Egeo, sai?
Ho gli occhi pesanti, ogni volta è sempre peggio.
Pensare che Bologna è anche una bella città.

Svoltai a destra al primo semaforo dopo la stazione.
Via Jacopo della Quercia. Mi fece venire in mente il mio vecchio prof di storia dell'arte, Novello, si chiamava.
Era un'enciclopedia con due gambe e due braccia. Tra di noi usava anteporre un "Wiki" (stile Wikipedia) al suo cognome. Wiki-Novello. Un'enciclopedia su due gambe.
Scalai la marcia e scivolai di frizione nel primo parcheggio libero. Ci entravo a malapena e quando scesi strusciai con la schiena sulla portiera del furgoncino bianco che avevo accanto.

"Siamo in Emilia-Romagna"mi riporta alla realtà il ragazzo seduto a due sedili di distanza. Sta parlando con una ragazza.
Panico.
Avrei preferito non pensare di essere in un "territorio straniero", a già quattro ore di distanza da casa. Dalla mia città, dalle mie inesistenti radici (sono come un albero che nasce sopra alle nuvole), dal mio quasi-lavoro e dai miei precari legami.
Avrei preferito galleggiare nel nulla. Per sempre in bilico tra il nulla e il niente.
Come se il binario 11 della stazione di Bologna non fosse nient'altro che il vascello guidato da Caronte sul fiume dell'inferno dantesco.
Destinazione unica.
Paghi pegno ogni volta che arrivi.
Un pezzetto della tua anima resta là. Da lei.

Andai a piedi verso la stazione, era a nemmeno cinque minuti da dove avevo posteggiato.
C'era una stretta scalinata in ferro che portava direttamente ad un binario.
Scesi.
Lessi. Binario 11.
Non sapevo da quale destinazione di preciso sarebbe arrivata. Eravamo rimasti che non ci saremmo contattati fino a quella mattina (astinenza, così l'aveva chiamata), ma invece, poco dopo partito mi era arrivato un suo SMS in cui, terrorizzata, mi diceva di aver perso il treno.
Le avevo proposto di vederci direttamente a Padova, dove avrebbe avuto il cambio, ma alla fine era riuscita comunque a prendere il treno dopo in orario.
Tutto regolare.
Sensazione acida alla bocca dello stomaco. Perchè?
Improvvisa paura di una gguato alle spalle.
Perché?
Controllai meglio la tabella oraria, Padova doveva essere in qualche stazione intermedia.
Dopo qualche minuto la trovai. Sarebbe arrivata col treno che partiva da Venezia Santa Lucia.
Binario 11.
Vaneggiai pensando che a Venezia non c'ero mai stato, e mentre attendevo mi sedetti su una panchina e cominciai a scrivere sulla Moleskine.

Hanno cambiato la scritta su quell'enorme struttura bluche va avanti e indietro, lentamente, accanto alla stazione. Quella dove c'era scritto Astaldi. Ora c'è scritto, sempre bianco su blu, "Nuova stazione di Bologna"
Mi mette angoscia quel colosso blu, come sempre.

"Sono a Ferrara, quindi tra una ventina di minuti." un suo SMS.
Il mio respiro che si fa più corto.
Un mendicante mi si avvicina, faccio segno di no con la testa, senza dire niente. Mi hanno sempre messo a disagio.
I minuti passarono, un treno arrivò al binario 9. Ma del suo non c'era traccia.
Stavo cominciando ad agitarmi, scesi le scale del sottopassaggio a salti e mi misi con lo sguardo a cercare il suo cappello di lana con le orecchie da coniglio. Troppa gente. Troppe valigie. Troppe chiacchiere e voci.
Le telefonai.
-Sono appena scesa al binario. Dove sei?-
La sua voce che cercava di sovrastare quella di tutta l'altra gente che aveva intorno.
Era scesa al binario 9. Ne ero convinto. Ma nel sottopassaggio non c'era.
Mi disse che era già all'1.
Corsi con il telefono all'orecchio.
Nella foga vidi una ragazza con un cellulare e le sorrisi mettendole una mano su un fianco. Poi misi a fuoco. Non le assomigliava nemmeno un poco.
Questa mi guardò strano. L'avevo spaventata.
Cretino. Cretino. Cretino.
Salii di nuovo su e corsi per tutto il binario 1.
Feci per tornare giù da un altro accesso al sottopasso, non avevo più fiato.
A metà scale, però, mi dovetti fermare.
C'era, in fondo, a qualche gradino di distanza, una ragazza avvolta da un cappotto nero. In testa aveva un cappello di lana marrone, con occhi e orecchie da coniglio.
Non ci fu bisogno di dire niente.
Di riflesso, dopo essere rimasto con un piede a mezz'aria come il cretino che ero, sorrisi. Finii le scale e l'abbracciai.
Avrei potuto emergere dall'acqua per un poco, ora che lei era lì con me.
Potevo finalmente far riposare i polmoni.
E' il tempo il tuo unico avversario. Quello che non ti darà mai tregua e ti terrà sempre con il fiato corto, spezzato, sospeso.
E' il tempo che ti frega.
Einstein ci aveva proprio azzeccato, con quella sua storia sulla relatività.
Mi capitava sempre, in momenti come quello, di avere la gola secca e la lingua annodata.
Mi sentivo in soggezione. Come se accanto avessi la persona che poteva decidere della mia vita o della mia morte con un solo gesto. Un po' in stile imperatore romano al Colosseo. Pollice in su: vivi. Pollice giù: muori.
Sapevo già, da come la stavo guardando, che quella ragazza sarebbe stata la mia rovina.
Era dolce, era fragile, era timida, sognava. Non era adatta a questo mondo tanto quanto non lo ero io.
Si stava insinuando nella mia testa come se stesse lavorando a maglia usando un filo della mia anima intrecciato con uno della sua.
 
 
Avremmo preso il treno tutti i sabati per venirci in contro.
Avremmo scoperto tutti i vicoli e le strade più strane di Bologna.
Alla fine le avremmo trovate, le tartarughe.
Ci saremmo abbracciati all'infinito dentro a quel buco di cinema, ti avrei baciata e tu non ti saresti ritratta, perché l'avresti sentito che nessuno mai ti ha amato e mai ti amerà così come ti amo io. Ci saremmo tenuti per mano e avrei riempito il tuo mondo di sogni.
Dei sogni più belli.
Avrei costruito assieme a te il tuo mondo perfetto. Quello dove hai le braccia lisce, dove hai lo stomaco felicemente pieno di pizza e cioccolata e patatine. Quello in cui hai l'età che vuoi.
Saremmo stati perfetti, insieme.
Ma la vita non ci sta.
Saremmo stati perfetti. Ma, com'è noto, la perfezione in natura non esiste. E siamo rimasti lì. Sospesi.
Con uno scarto di tempo addosso, più te che io.
"Le cose belle bruciano in fretta"
Rimangono tra le mani le ceneri scottanti di corpi carbonizzati.
 
 
(Mi aveva risposto a 'sto sproloquio.
"puoi non mandarmele queste cose?"
"scusa")

martedì 3 marzo 2015

Roma

Roma è proprio tanta roba.
E sarà la febbre, sarà che stasera mi manchi proprio tanto, ma mi son messo a pensare che Roma è davvero tanta roba. Sì, lo so che anni fa dicevo che non ci avrei mai vissuto, che non mi sapeva di niente, che era troppo caotica. Ma non si può essere sempre obiettivi nella vita, no?
Ci sarà un traffico infernale, ma mi piace svegliarmi la mattina e sapere che faremo venti minuti di auto insieme, così magari riesco a farti sentire quella canzone che ho scoperto da poco tra le tremila nella pennina USB. Mi piace svegliarmi, trovarti accanto, tutta addormentata, tutta raggomitolata tra le mie braccia. E di solito io un braccio non lo sento più. Mi piace pure svegliarmi e non sentirmi più un braccio. Con te ormai so già che sarà così, non so come mai di preciso, dev'essere che prendi qualche punto preciso che fa fermare l'afflusso di sangue e vedrai è per questo che mi sveglio sempre un poco prima di te. Mi ammazzi le braccia.
Insomma, mi piace svegliarmi e trovarti lì. E sapere già che per uscire dal letto ci vorranno almeno venti minuti e poi dovremo fare tutto di fretta. Non mi dispiacerebbe non avere orari, ma un po' ci ho preso gusto. Ti sveglio con i baci sul collo, sulle spalle, tra i capelli. Cazzo, quanto mi piaci.
Mi piaci quando la mattina sei lì che mi ammazzi le braccia e non ti vuoi svegliare. Dieci minuti, e mi fai tenerezza. E Roma diventa bella se la mattina ti bacio i capelli e dopo un po' inciampo nelle tue labbra e tu nelle mie. Ti giri e mi viene in mente il fatto che siamo nudi, di solito, e mi sale su ancora più tenerezza. Perché vestita solo delle coperte e delle mie braccia, come Roma, anche tu sei tanta roba.

Sarà la febbre, sarà che stasera mi manchi proprio tanto, ma mi son messo su google maps (come il peggiore dei nerd) e ci ho scritto il tuo indirizzo. M'è venuto tutto un formicaio dentro allo stomaco. Sì, le formiche potenti, quelle con la testa rossa. E quando ho pensato ai due che si baciavano sopra il tettino della panda bianca durante il diluvio è comparsa pure la formica regina.
M'è venuto in mente l'undici di settembre, quando eri uscita per prelevare al bancomat e m'hai trovato lì. E non lo so se ero teso, nervoso o no. Stavo leggendo. E te sei sbucata fuori dal cancello. E cazzo, eri proprio bella.

E quindi io a Roma ci abiterei volentieri, però ci dovresti essere tu al mattino, ad ammazzarmi le braccia, a chiedere dieci minuti, a procrastinare, a inciampare, a farmi venir le formiche.
E ci dovresti essere tu la sera, perchè dobbiamo finire di vedere Ameliè.
Io t'abbraccio e te m'abbracci, sul divano o dove ti pare. E prima o poi imparo a cucinare, lo giuro.
Roma diventa bella se la sera ti metti a fare i cocktail strani con tutto quello che trovi in giro.
Roma diventa bella se mentre lavi i piatti ti stringo e ti accarezzo la schiena.
Roma diventa bella se c'è la tua pelle, la tua voce.
Diventa bella se nello specchio vedo sia me che te.
E allora baciame, baciamoce, e nun ce fermamo.