mercoledì 22 ottobre 2014

Commento al file del Latte di soya

Mi viene quasi da ridere a rileggere come era la mia vita solo un anno fa, tutta la bruttezza che mi portavo dentro, tutta la frustrazione che mi circolava tra le arterie. 
So di essere stato anche quella persona. Il ragazzo che ce l'aveva a morte con il mondo, che aveva paura della gente, che non guardava mai gli altri negli occhi. So che avevo anche un'idea sbagliata e malata del concetto di amore, e di questo ci sarà tanto da scrivere. Non adesso che comincio ad aver sonno e le lettere sullo schermo stanno facendo come lo snake del Nokia 3310. 
Però mi faccio un po' tenerezza, posso? 
Se in quel periodo avevo solo bisogno di affetto, ci penso io adesso a darmelo. Sono qua seduto davanti al pc in salotto che abbraccio il me stesso dell'anno scorso. E gli dico ad un orecchio, sottovoce come si fa con i bambini, che tutto andrà bene, ma bene sul serio, bene in una maniera che nemmeno può riuscire ad immaginare. Sono qui che mi cullo proprio. Mi cullo e mi dico che ogni passo che ho fatto è servito, mi ha condotto ad una condizione spirituale invidiabile. Mi rendo conto di quanto fossi nella prospettiva sbagliata nei confronti del mondo. 
E mi viene anche da sorridere nel rileggere le cose di Laura, perchè anche tutto quel tempo è servito, m'ha messo sulle spalle un po' più di anni e mi ha permesso di avere gli occhi più sereni in un secondo momento. Come in una visione leopardiana della felicità dopo il dolore. 
E' strano e complicato da spiegare, so che qualcuno di quelli che stanno leggendo però può capirlo. (Sì, dico a te tpn, tu riesci a capire quello che passa nei marchingegni del mio cervello) Se mi si perdona il banale accostamento di parole, mi ha permesso di crescere a livello umano. Sono arrivato ad amare me stesso, ed è paradossale se ci si pensa bene.
Fatto sta che sono a questo punto. Mi amo. E faccio quello che mi è possibile per amare me e gli altri nella maniera più sana, non è semplice, ma mi è sempre più naturale, ed è questo che conta.

Ah e poi scrivo un po' a cazzo, ma sono perso nel mio mondo (che un po' è anche il tuo).

Heimlich che non è più il bruco di Bug's life

23 ottobre 2014, 2 anni e 9 mesi di TOS

Ho quasi ventuno anni. Non sono molto alto. Ho gli occhi castani e di solito ho sempre avuto anche i capelli castani, ma con il lavoro di quest'estate le punte sono diventate bionde, come se avessi fatto i colpi di sole dal parrucchiere. Ho le guance e il mento ricoperti di barba non troppo folta. Le braccia sono forti, così come le gambe e la schiena. Riesco a stare a testa in giù e a toccare il pavimento con le mani senza piegare le ginocchia.
Da piccolo mia sorella mi diceva di coniugare tutte le frasi al femminile, io mi domandavo la motivazione.
Ora so che l'unica ragione è puramente fisica. Che non ci sono colpe, nessuno è imputato né giudice.
Stasera ho trovato per caso questo file nell'hard disk esterno e mi sono messo a leggere, sorridendo un po' di me stesso. E provando una bella sensazione nel continuare a scrivere nello stesso file a quasi tre anni di distanza.
E' come confrontare vecchie foto con quelle recenti. Dà proprio soddisfazione.
Ho quasi ventuno anni. Non sono molto alto, ma non è più un problema. Un'amica mi ha detto che la bellezza non si misura dalla testa ai piedi, ma dalla testa al cielo.

Fino all'anno scorso avevo paura delle persone. Degli esseri umani proprio. Fino a due anni fa non riuscivo né a cantare né a ballare. Andando ancora indietro potrei aggiungere che ho avuto paura a parlare con le ragazze, ad ordinare un caffè al bar, a chiedere consiglio in libreria. Ho avuto anche paura ad abbracciare mia madre. Ho avuto paura a rispondere al telefono e a fare telefonate.
Più di tutto, avevo paura di qualsiasi superficie riflettente.
Ora boh.
Ora non riesco nemmeno a trovare termini di paragone, forse perché non ce ne sono e basta. Non vivo più con mio padre, e questo già è un balzo in avanti nella mia personale catena evolutiva.
Mi ritrovo a girare a torso nudo per casa e questo è un balzo ancora più grande. Quando racconto di me lo faccio con orgoglio, con soddisfazione. Quando parlo di me parlo di una roba che si chiama felicità, e tanto mi basta.

Heimlich (il bruco di Bug's life)

10 febbraio 2012

Mi accarezzo la pancia con movimenti lenti e circolari, ho scelto una zona per me simbolica e devo immergermi in quell'attimo per tutto il tempo che ritengo necessario.
Una carezza in senso orario.
Una carezza in senso antiorario.
Con quest'atto mi sono a pieno titolo fatto la prima ecografia per vedere realmente me stesso.
Inspiro piano. Espirando, faccio un tuffo all'indietro.


Quando ci si rende conto che qualcosa non va.

Sono nel vialetto di casa, non so cosa sto facendo di preciso, sono solo consapevole del mio corpo e del fatto che c'è un altro corpo più grande accanto a me. E' mia sorella. E' mia sorella che si prende cura di me mentre nostra madre è al lavoro.
Non so cosa sto facendo di preciso, sono solo consapevole del mio corpo che è fermo nel vialetto di casa, e di mia sorella che mi sta accanto.
So che ho appena fatto qualcosa di cui vado fiero. Dico ad alta voce che sono stato bravo.
Stonatura. Incrintatura nello spazio e nel tempo. Velatura di incomprensione sulle mie iridi. Mia sorella mi ha appena detto che ho sbagliato, che non devo dire che sono stato bravo, che non è vero. Io non sono stato bravo. Devo dire che sono stata brava.
Alzo un sopracciglio. Poi l'altro. Annuisco, non posso fare altrimenti.
Le prendo la mano, camminiamo insieme.

Il momento in cui ho dovuto ammettere a me stesso che qualcosa non andava come avrebbe dovuto è stato esattamente quando ho fatto il mio ingresso nella "società". Ovvero dal mio primo giorno di scuola elementare.
Sono sempre stato più piccolo degli altri miei coetanei, sia in senso fisico che per età, essendo nato a fine anno ho sempre avuto a che fare con bambini più grandi di me, e questo non è mai stato di aiuto.

"Ma sei un maschio o una femmina?"
"Ma perchè non ti metti mai le gonne?"
"Devi dire bravA, non bravO."
Chi ero?
Se mi veniva spontaneo parlare mettendo le O finali, perchè dovevo fare diversamente?
Per quale ragione tutti mi guardavano storto se a scuola portavo i capelli corti?

-Sì, ma dimmi pure l'altro nome.- mi guardò sorridendo.
Rimasi per qualche istante paralizzato.
Avevo visto quella donna si e no due volte, non mi conosceva, mi ero presentato anagraficamente.
Eppure lei chiedeva il mio nome, il mio vero nome.
“Perché?” mi chiesi.
Poi le risposi:
-Christopher, “ch” e “ph”.- precisai.
-Meno complicato non potevi sceglierlo?- mi domandò con un sorriso.
Sorrisi a mia volta. Ero imbarazzato, per una volta in cui erano gli altri a venirmi in contro mi sentivo quasi in difetto.
Mi calmai. Era giusto così. Non era quello che avevo sempre desiderato?


Post t

Ti guardi allo specchio. Cosa sta succedendo?
Sei tu.
Ogni giorno cogli qualche dettaglio che ti assomiglia, sorridi, ti accarezzi il volto.
Hey, bentornato!
Senti la vita che scorre nelle vene, anche se sei irrequieto, nervoso, attaccabrighe, sai che sei tu.
Hai i piedi per terra, le mani appoggiate alla fredda porcellana del lavandino.
Ti guardi. Sorridi.
Alzi un sopracciglio. Poi l'altro.
Muovi i muscoli del volto e fai schioccare la lingua.
Ogni movimenti adesso ha un senso.


Esistono anche le fosse.
 
Mi sono sentito come sette anni fa, quando mi guardavo allo specchio e vedevo sotto alla maglietta delle forme nei punti sbagliati.
E' stato lo stesso orrore.
Dovevo andare in palestra, stavo male, ero rincoglionito, cercavo qualcosa, ma non sapevo né da dove cominciare né cosa cercare. L'univa cosa che mi salvava era la palestra.
Ero troppo pieno di tristezza e solitudine, di ansia e nervosismi.
Da qualche giorno sentivo le canotte stringere di più, mancava il fiato, allora le mettevo solo per uscire, aprendo il velcro o la cerniera quando potevo.
Quel giorno non potevo, ne avevo bisogno.
Faceva troppo caldo per fare palestra con la felpa.
Andai di fronte allo specchio per vedere come apparivo senza canotta.
Fu un pugno nello stomaco.
Tonde, belle, seppur più piccole del solito, erano lì. Erano lì a rinfacciarmi la prigionia in cui le avevo tenute soffocate per anni, le bastarde.
Abbassai occhi e felpa.
Sarei andato con la canotta in palestra.


Accadeva l'anno scorso, file salvato sull'hard disk come "Latte di soya", ritrovato adesso e messo in archivio


"Ho scritto di mio padre, in parte.
Poi sono passato davanti al supermercato stamani, dovevo andare in palestra perché ieri sera mi ero dimenticato lì la crema per il tatuaggio.
E insomma, passavo di lì, e c'erano quei dinosauri di cartapesta del Carnevale dell'anno scorso. Ti ricordi? Mi sei venuta in mente.
E mi è venuto in mente che se le cose fossero andate in maniera diversa, sicuramente saremmo passati di lì. Saremmo andati all'Esselunga a prender magari il solito litro di latte fresco e le banane per tua madre.
E avremmo visto i dinosauri. E avremmo riso."
"Ah. E' forte quello che hai scritto. E' veramente forte."
"Vedi perché ho paura a mostrarmi? E' tutto molto forte, e se mi guardaste troppo a fondo finirei per soffocare. Nelle parole c'è sempre una piccola parte di me. Non posso darmi a tutti. In quante persone sarei frammentato altrimenti?"
Non so nemmeno perché ti ho scritto quello che ho pensato questa mattina, forse perché comunque ti vorrei partecipe della mia vita, vorrei che ricoprissi ancora un qualche ruolo, anche se tutto non potrà più essere come prima.

Non potrà più esserlo, perché niente è più come prima. Troppe cose sono successe. Troppe parole sono state dette. E non dovevo nemmeno scrivertelo quello che ho pensato, non credevo che ti potesse fare male, ti chiedo scusa.
Ti ho permesso di affacciarti al mio abisso. Ti sei spaventata. Va bene così, devi starne alla larga.
Devono starne tutti alla larga.

"Per te non è stato forte scriverlo? E' qui che non capisco come fai ad essere diventato insensibile a tutto."

Ancora con questa storia dell'insensibilità.
Tu sapessi. Tu sapessi quanto sono diventato se possibile ancora più sensibile di prima.
Come ho detto a lei, è come se avessi lo zoom sul mondo. Tutti i particolari diventano vivi, tutte le forme, tutti i volumi. Potrei stare delle ore ad osservare un filo d'erba o il profilo dei cavi elettrici che si aggrovigliano tra di loro! Ma non vedi tutto quello che hai attorno?
Com'è tutto così strano, così... così. Guardati le mani e sogna. Perditi tra i meandri delle infinite pieghe!
Per questo voi non vivete mai. Per questo dite che sono io l'insensibile.
Io ci sono perso tra i labirinti delle forme, per questo non mi vedete più. Ma è solo perché ci sono dentro.
Sono dentro al mondo.
Sono parte del tutto.

"Fare senza aglio che alla Dè non piace."
Ecco il mio nuovo segnalibro.
"Dè" sta per Debora.
"Debora" sta per mia sorella.
Era un biglietto che mia madre aveva lasciato a mio padre. Per non fargli mettere l'aglio nella bruschetta con i pomodorini.
Ho annusato l'aria dopo averlo letto, c'era puzza d'aglio.
Come al solito lui se n'era fregato e aveva pensato che con l'aglio sarebbero state più buone. Quindi perché non mettercelo?
-E' morto Gianfranco, l'idraulico, quello che veniva sempre qui. Te lo ricordi?- mi aveva detto proprio mio padre, appena entrato in cucina.
-Ah, cazzo.- la mia risposta, mentre mi fingevo dispiaciuto.
Era appena caduto tra di noi quel velo di circostanza che solo la morte può dare.
Chissà perchè poi.
Chissà perché io e lui riuscivamo ad avere un tono normale solo quando parlavamo di morte.
La verità è che la morte lo terrorizzava.
Lui.
Un uomo di circa 60 anni (non ho voglia di contare) che ha rischiato di tirare le cuoia per una cirrosi epatica da urlo.
Lui.
Lui che si sentiva potente su tutto e tutti, che DOVEVA essere potente.
DOVEVA avere il controllo di tutto, lui.
Lui, questo uomo che si rendeva improvvisamente conto di essere ormai con un piede e mezzo nella fossa.
E dall'altra parte c'ero io.
Quell'anno sarei andato per i venti.
Ero giovane, ero in forma, se avessi voluto lo avrei potuto buttare giù con un calcio forte e ben assestato; sapevo come fare. Ma l'idea non mi aveva mai sfiorato la mente.
Strano. Con tutto quello che ci aveva fatto...
E lui si ritrovava sempre, puntualmente, così, quando parlavamo della morte.
Si rendeva improvvisamente conto che da quanto è grasso non poteva nemmeno allacciarsi le cinture quando guidava (Per questo, forse, non scala mai la quarta?).
Mi stavo convincendo sempre di più che quando mi guardava vedeva il se stesso di tanti anni prima. Di quando faceva il paracadutista nella folgore e i muscoli guizzavano sotto la mimetica.
Mi stavo convincendo sempre di più che più passava il tempo, più la barba cresceva e la voce si faceva roca e profonda, e più lui, quando mi guardava, vedeva se stesso.
Vedeva se stesso migliorato di centomila volte.
E la cosa lo spaventava, lo rendeva esterrefatto.
Perché DEVE ESSERE LUI il migliore.
Era più o meno da un'ora che stavo leggendo "Donne" di Bukowski, il libro del quale la sera prima (o "la mattina presto", usando le parole di Laura) le avevo letto qualche parte. A lei.
Era cominciato tutto da lì.
Alla fine Laura non era riuscita a fare la doccia, o meglio, l'aveva fatta solo per metà.
L'acqua calda non arrivava più e lei era rimasta intirizzita a tremare per il freddo.
Io mi ero messo a leggere mentre la aspettavo, convinto che stesse solo impiegando un tempo gargantuesco per lavarsi.
Ad un certo punto aveva vibrato il cellulare.
Un SMS.
"Dimmi che mi puoi chiamare, ti prego".
Era mezzanotte e cinquantotto.
L'avevo chiamata.
L'avevo chiamata e mi aveva spiegato la storia della doccia.
Mi aveva detto che "suo fratello grande" (sempre così lo chiamava) le aveva chiesto di parlare. Laura non aveva rifiutato, era andata da lui e aveva parlato con lui. Per sentire poi sempre i soliti discorsi triti e ritriti.
"Devi essere forte tu per tua madre, non lo vedi come sta? Ci spaventa."
Provai a mantenere un certo autocontrollo mentre mi spiegava tutto per telefono, mentre la sua voce stanca e sempre un poco spaventata mi accarezzava le orecchie.
Tempo prima glielo avevo detto, che la sua voce era come una carezza. Sembrava sempre sul punto di non avere il respiro. E così ti accarezzava le orecchie.
-Mi sembra d'essere tornato ai tempi di Galileo con l'Inquisizione. Chi glielo dice che è la Terra a girare attorno al Sole e non il contrario?- avevo sbottato.
Lei aveva riso.
Mi ero sentito per un secondo importante.
Poi avevo cominciato a raccontarle del libro che stavo leggendo, aggiungendo che non era il suo genere.
-Però ci sono dei pezzi molto belli.- avevo aggiunto.
-Me li leggi?- mi aveva risposto lei in un soffio.
Così avevo cominciato. Mi piaceva leggere ad alta voce, anche se non l'avevo mai fatto con nessuno. Solamente a scuola, anni fa, quando chiedevano se qualcuno volesse leggere speravo sempre che chiamassero me, anche se mai e poi mai mi sarei fatto avanti. Mi vergognavo. Però pensavo che se fosse stato qualcun altro a chiedermelo, allora avrei avuto il pretesto giusto.
Cominciato.
Finito.
-Ancora.- la sua carezza alle orecchie.
Un altro..
La voce mi si soffermava sulle parole che avrei voluto dirle, ma che sempre mi si fermavano in gola. Leggere quelle di qualcun altro era molto più semplice, era come se le facessi mie solo per il fatto che le dicevo con la mia voce. Ma avevo sempre la scusa di dire "eh no, ma non sono mie, non le ho scritte io."
-Ne hai ancora?- mi chiese.
Continuai.
E di nuovo finii.
-Ancora.-

Mercoledì sera. O forse era martedì? Boh, non so più tenere conto dei giorni. Una volta andare a scuola aiutava anche in questo. Ora so solo quand'è che è lunedì, quando è martedì e quando è venerdì. Sono i giorni in cui devo svegliarmi alle 6 di mattina per andare al corso.
Insomma, facciamo che fosse mercoledì sera.
Mercoledì sera sono andato in quel locale, il Pool Jazz.
Serena cantava nel coro della sua band che fa cover di famosi pezzi rock. Sono bravi. Abbastanza. Accettabili per esser giovani.
Il cantante però, ogni volta, mi fa morir dal ridere. Si crede figo. E' abbastanza simpatico, non ci ho mai parlato veramente a dirla tutta. Ma è esilarante quando si mette gli occhiali da sole alle 11 di sera per cantare. Sul serio, è esilarante. Mi verrebbe da ridergli in faccia. Una volta l'ho fatto.
Se si mette gli occhiali salva la vista a molta gente, non è proprio tutta questa gran bellezza. Con gli occhiali da sole sembra quasi figo, però.

E quindi ero lì. Ho chiesto a Ciulia se le facesse piacere che l'accompagnassi io, non mi andava di arrivare lì da solo come il lupo che ero. Mi andava di fingere un po' di essere qualcosa di sociale. E Ciulia era l'unica che fosse un po' lupo come me. Era l'unica persona di cui mi fidassi in 'sta merda di città.
Mi ha detto che andava bene.
Al Pool ci sarebbero stati, oltre a Serena, anche Giulia e il ragazzo che ha conosciuto da poco, Luca, e di certo non volevo far la figura dello sfigato asociale che si sceglie la solitudine.
Anche se so perfettamente che sono così, compresso in questa unica frase.
Sono uno sfigato asociale che si sceglie la solitudine.
Tsk.

L'indignazione verso le prese per il culo che mi stava facendo Giulia in quei giorni stavano scemando. Tanto per citarne due, mi aveva proposto di vederci domenica scorsa insieme ai nostri amici storici. Ok, avevo detto io, almeno con la scusa della pennina USB e alcune cose che dovevo ridarle, speravo di poter parlare un po'.
Sabato le chiedo di farmi sapere gli orari, e mi sento dire che "no, domenica non posso, esco con Luca".
Ok, dico io. Nel frattempo ci eravamo messi d'accordo per vederci sempre tutti assieme il lunedì.
Ok, ridico io.
Ci sarebbero stati anche Stefano, Serena e Ciulia. Tanto meglio! Era così tanto tempo che non li vedevo. Sarei voluto uscire quasi solo esclusivamente per vedere loro.
Alle sei della domenica mando un sms a Giulia per sapere gli orari del giorno dopo.
"No scusa ma esco con Stefano, Serena e Ciulia e c'è pure Luca. Scusa ma non mi va ancora di farvi conoscere, mi sento in imbarazzo."
E se permetti ora mi girano le palle.
Dico ok lo stesso. Ma mi girano le scatole. Stefano scende dalla sua cazzo di città sui monti una volta ogni morte di Papa, e Giulia mi dice che non posso esser con loro?
"Sei un po' freddo" mi scrive per messaggio lunedì mattina.
Le dico chiaro e tondo che mi ha fatto girar le palle.
Lei mi dice che se voglio ci possiamo vedere la sera.
Prima le dico di no. Non le voglio dar soddisfazione.
Poi mi dice che Ste sarebbe rimasto fino a tardi, allora acconsento.
Ma nel pomeriggio mi manda all'aria pure tutta la serata.

E quindi si torna a mercoledì sera. Al Pool Jazz. Arrivo lì con Ciulia. Giulia mi saluta, si è tagliata un po' i capelli, non me la ricordavo così bella. Sono tutti seduti ad un lungo tavolo in legno. Serena deve ancora arrivare, Luca è seduto di fronte a Giulia.
Mi sento a disagio. Mi sento di troppo. Io e Ciulia, lo vedo che anche per lei è così. Ci guardiamo come per dire "Ma che siamo venuti a fare?"
Prendo la scatola di un Forza 4, tra i giochi da tavolo che il locale mette a disposizione, e comincio a giocarci con lei.
Vinco una cosa come 10 partite di fila, una volta mi batte lei, poi riprendo con le mie vittorie. Si stufa.
"Non ti diverti più eh?" ridacchio.
Allora le propongo di fare a cazzo. Prendiamo i tondini rossi e quelli gialli del gioco e li mettiamo a cavolo nella griglia, l'immagine che si forma sembra quella di una cattedrale gotica dal contorno rosso e l'interno giallo.
Ogni tanto alzo gli occhi verso Luca, mi piace come tipo.

Stavo prendendo io per il culo il mondo o era il mondo a prendere per il culo me? Non sapevo rispondere.
Mancavano dodici minuti a mezzanotte. Era giugno e pareva d'essere a inizio ottobre. Stava per nascere mia nipote, stavo perdendo Laura e avevo già perso Giulia, mio padre era il peggior giudice di se stesso e mia madre andava avanti a grappa e limoncello e venditrici porta a porta di elettrodomestici.
Volevo solo piangere. Volevo che qualcuno mi circondasse le spalle e mi permettesse di piangere in santa pace. Ciulia si era fatta una canna, prima, lei e Martina che continuavano a dire cosa avrei dovuto fare con Giulia. "State prendendo tutti per il culo."
Quella fu una delle sere in cui mi resi conto di essere veramente un vigliacco. Avrei voluto morire, ma non avevo le palle per farlo.
E non perché pensassi a come sarebbero stati gli altri senza di me. Ma perché non sapevo a cosa sarei andato in contro.
E se fosse stato peggio?
Poteva Sempre andare peggio, quello ormai l'avevo appurato in venti anni di esperienza sul campo.
Ma soprattutto non volevo che mi venisse messa addosso l'etichetta di quello che non ce la faceva più.
Io sono forte.
"Metti da parte quel cazzo di orgoglio." Laura, in una delle ultime mail.
Quello che non capiva era che non si trattava di orgoglio. Ma di una fottuta paura nei confronti delle persone.

Insomma, mia sorella era appena stata portata all'ospedale. E io non avevo la minima intenzione di andarci. Ancora paura. Paura di vedere la gente. Paura di vedere una persona che un attimo prima respirava dentro l'acqua come i pesci e un attimo dopo strillava nel bel mezzo di una sala asettica.
Paura di mostrarmi. Paura di far vedere i miei pensieri.
Avrei voluto piangere. Ma poi sicuramente avrei sentito le solite frasi canzonatorie da parte di mia madre e forse di mia sorella stessa. "Frignone"
Non si poteva essere felici per qualcosa di bello. Non si poteva mostrare dolcezza in casa mia. Guai. Piuttosto butta via ciò che hai nel piatto.
Guai a farsi vedere emotivi, in casa mia.
Quella sera, essere felici era qualcosa che assomigliava molto alla leggenda dell'alligatore nelle fogne di New York.
Mia sorella era appena stata portata all'ospedale. E io me ne restavo davanti al pc, a scrivere, con la casella gmail aperta, e con la fottuta speranza che Laura mi scrivesse. Non importava cosa. Avevo solo bisogno che lei mi scrivesse.
Non avrebbe scritto, avrei aspettato un'ora, avrei spento il pc, spento il modem, salito le scale; mi sarei cambiato, lavato i denti e mi sarei messo nel letto, con il telefono accanto.
Odiavo questo mio essere dipendente da chi anche solo una volta aveva scambiato con me parole dolci.
Quella sera, mi odiavo.
Perché c'era questa moda di essere acidi con chi ci tratta bene, e io no, non l'avevo ancora capito.


martedì 14 ottobre 2014

Ti inciampo nelle labbra

-Devi tornare a vedere la soffitta comunque, e a conoscere Ian
-Cazzo,
la soffitta,
pure Ian,
ma la soffitta ha la precedenza.

-E' che ci impantaniamo.
-Ci ingolfiamo

-Ti inciampo nelle labbra ed è un casino
Passavo di lì e tump
Sai com'è

-Ti inciampo nelle labbra
ahahah

-Ci si ingolfa
-Sì, capisco

-E poi è un casino per davvero
-A me non dispiace...

-Nemmeno a me, dilatiamo il tempo praticamente
-Ce lo mangiamo,
E' diverso

-Ah beh sì, è vero
-Entriamo in un'altra dimensione
E là il tempo è dilatato

-Ti si incastra proprio addosso e mentre ti accarezzo i capelli va via effetto cenere col vento, e tu uguale
-Dai
Formicolo

-Screpoliamo il tempo.
Che figata.
Formicoli?
-Sì, formicolo

-Va dato un bacio allora

lunedì 13 ottobre 2014

La cosa più dolce

(22:21) 13 ottobre

La cosa più dolce e bella è stato svegliarmi con Sofia accanto.
Dopo aver staccato con il mondo la sera, tenendosi stretti, e ritrovarsi ancora così al mattino.
Ti senti invincibile.
E ritrovarsi poi ad inciampare tra le labbra in ogni posto.
E' che sai, passavo di lì e c'era il tuo viso e mi son girato e poi ops.
Avevi un sussurro addosso e non ho potuto fare a meno di ascoltarlo.
Te lo portavi dietro ovunque, ogni volta aveva qualcosa di diverso e come si fa a restare indifferenti?
E con la punta delle dita ci toglievamo di dosso tutto il tempo passato a cercarci e correrci in contro, si condensa da qualche parte a livello subatomico. A quel punto non esiste più niente.
Può benissimo entrare la Sopa in camera, ma col cazzo che ce ne rendiamo conto.
Siamo lì a scambiarci la vita. Le tue mani che partoriscono brividi lungo la mia schiena.
La mia bocca sul tuo collo, la tua che lascia uscire sospiri e gemiti trattenuti.
Guardandoti negli occhi, cercavo di darti le mie sensazioni, di farti capire che eri magnifica con quello sguardo da giovane guerriera.
Chiunque fosse passato di lì, ci avrebbe visto danzare al ritmo del cosmo.

Sotto le mani, le costole

(21:05) 9 ottobre

Ieri l'aria era ferma e tiepida. La luna piena mi camminava a fianco mentre andavo in direzione del molo.
Stanotte non so come sia il mondo. Sono in una specie di ritiro mistico, preparo la mente a domani. Sofia arriverà a Pisa con il treno nel tardo pomeriggio.
La voglio. E la aspetto come se con lei arrivasse una parte di me con cui ricongiungermi.
Sotto le mani sento ancora la forma di quella sua costola rotta e ricalcificata male. C'è un piccolo avallamento, un'interruzione nel flusso della sua gabbia toracica.
E' lì che si posavano spesso le mie mani. Era come accarezzare qualcosa di unico, di fragile, di trascendentale.
Mi cercava con tutto il corpo; ad ogni bacio sul collo era scossa da un fremito forte e ogni limite fisico prendeva un valore al negativo. I vuoti erano pieni e i pieni diventavano vuoti.
Ventre contro ventre, tutto il nostro essere si era dissociato e non esistevano più due entità, bensì un'unione di due frammenti infinitesimali del tutto.
Il suo respiro era il mio, negli attimi in cui le nostre labbra erano tanto vicine da sfiorarsi.
Tutti i muscoli tesi e fermi, carichi in attesa dell'inevitabile scontro di carne e anime.
Le parole sono riduttive, non riesco a descrivere quella sensazione di calore e tepore in tutto il corpo, mista alla potente adrenalina che fa aumentare il battito e la sudorazione.
E poi io che l'abbraccio da dietro, davanti allo specchio, e vedo perfettamente il suo corpo e il suo viso riflessi. Sua madre che entra in casa, Sofia che ritorna in sè e mi spinge via. Sua madre che di nuovo esce e il tavolo della cucina che ci fa da angolo inaspettato in cui gettare tutto il dolore e ci fa accarezzare, mordere e baciare come se nel corso delle cose ci fosse stato un leggero intoppo esterno tale da far sventrare tutto.
E la guardavo come se fosse l'ultima volta in cui avrei potuto far correre le mie iridi tra le sue ciglia.

Post-sbronza

(00:07) Viareggio, 5 ottobre

Mi sento come se fossi appena uscito da una sonora sbronza. E' la miriade di sensazioni di questi giorni a farmi aprire tante crepe dentro.
Ho talmente tanto tra le costole che tutto non ci sta, il mio spirito non regge e ho bisogno di metabolizzare.
Mai mi era capitato di provare qualcosa del genere solo a sfiorare il corpo di una donna. A sentire le sue labbra ad una distanza infinitesimale e a respirare a pieni polmoni il suo respiro.
Ebbro.
Ebbro dei suoi fianchi, del suo collo, della sua schiena liscia, tela perfetta per le mie mani che disegnano arabeschi invisibili.