domenica 23 novembre 2014

Focus

18:24, 22 novembre

E' che ogni tanto il mondo va veloce e io vorrei star fermo; tu sei la mia connessione col mondo, fai rallentare tutto, lo rendi vero.
Qua attorno ci sono studenti, universitari forse, o agli ultimi anni di liceo e che già si sentono grandi. Un po' come mi ci sentivo io e vedevo tutto un po' più piccolo.
Sono qua a un tavolino e leggo. Oscar mi ha chiesto che faccio stasera, è sabato e lui lavora in una discoteca aperta fino alle sei del mattino.
Gli dico che dovrei andare al cinema, lui scherza, aggiungo che non sono tipo da bordello.
Davanti adesso ho Giuseppe, ancora mi ricordo il nome e lo riconosco, era alle elementari con me, non credo mi riconoscerebbe.
Stanno parlottando tutti, di chi sa cosa, non mi interessa.
Cosa si prova ad avere ventun anni e sentirseli?
Non so.
Ogni anno è come se ne acquistassi quattro alla volta.
I conti parlano da soli. 
Il motivo dove sta?
Qua si conoscono tutti, e io a malapena conosco me stesso.
Vado a pagare il macchiato.

Morfeo

3:21, 22 novembre

Stai (*) ubriaca, non so quanto di preciso, ma sicuro tanto.
E penso che se proprio si deve, si dovrebbe insieme. Penso che una volta vorrei vedere quanto morbida diventa la tua pelle e quanto caldo il tuo respiro se aumentiamo la nostra percentuale alcolica.
Le mani che accarezzano prendendo strade tortuose e incasinate più del solito.
Baciarti. Che già di per sè dà alla testa, figuriamoci da storti.
Stanotte voglio provare a sognarti e baciarti. Perchè tutte le volte che ti sogno non lo faccio mai.
"Fatti avanti." mi dici.
Perchè ci manca il nostro primo-bacio onirico.
Mi sono fatto avanti una volta, in tenda sulla spiaggia. Che poi non si è ben capito chi abbia baciato chi. Ma a me pare di aver proprio cercato le tue labbra.
Se conti che son sempre stato quello a cui sudano le mani, quello che si blocca e balbetta, direi che è un bel traguardo.
Mi piaci, perché non te sono un po' meno coglione, ma sempre diabetico al punto giusto.
Voglio vedere cosa si prova a baciarti con le labbra un po' ubriache.

Ventuno

16:02, 21 novembre

Mia madre mi ha chiesto cosa voglio fare per il compleanno.
-E' mercoledì prossimo.- ha aggiunto.
Le ho detto che non lo so.
Non so mai cosa fare quando si tratta di me.
Vorrei passare una sera tutti insieme, non importa dove.
Vorrei gli occhi di mio padre.
Li vorrei limpidi come non sono mai stati, o forse come non li ho mai visti.
Lo vorrei accanto come non ha mai fatto.
Mettendo su il caffè, poco fa, mi ha messo tristezza vedere che in casa non abbiamo neanche una tazzina.


Tanto per essere banali stanotte t'ho sognata, avevi le tue labbra a cuore e le tue sopracciglia decise, il resto non me lo ricordo, come al solito.
Però ti guardo e basta, come se non si potesse baciarsi. E un po' che palle, no?
Almeno mentre dormo, almeno baciarsi mentre ci troviamo addormentati. E mandare in culo il sogno e stringersi e accarezzarsi.
E invece ti guardo e basta.
E un po' c'è il sapore di una specie di tortura.

mercoledì 22 ottobre 2014

Commento al file del Latte di soya

Mi viene quasi da ridere a rileggere come era la mia vita solo un anno fa, tutta la bruttezza che mi portavo dentro, tutta la frustrazione che mi circolava tra le arterie. 
So di essere stato anche quella persona. Il ragazzo che ce l'aveva a morte con il mondo, che aveva paura della gente, che non guardava mai gli altri negli occhi. So che avevo anche un'idea sbagliata e malata del concetto di amore, e di questo ci sarà tanto da scrivere. Non adesso che comincio ad aver sonno e le lettere sullo schermo stanno facendo come lo snake del Nokia 3310. 
Però mi faccio un po' tenerezza, posso? 
Se in quel periodo avevo solo bisogno di affetto, ci penso io adesso a darmelo. Sono qua seduto davanti al pc in salotto che abbraccio il me stesso dell'anno scorso. E gli dico ad un orecchio, sottovoce come si fa con i bambini, che tutto andrà bene, ma bene sul serio, bene in una maniera che nemmeno può riuscire ad immaginare. Sono qui che mi cullo proprio. Mi cullo e mi dico che ogni passo che ho fatto è servito, mi ha condotto ad una condizione spirituale invidiabile. Mi rendo conto di quanto fossi nella prospettiva sbagliata nei confronti del mondo. 
E mi viene anche da sorridere nel rileggere le cose di Laura, perchè anche tutto quel tempo è servito, m'ha messo sulle spalle un po' più di anni e mi ha permesso di avere gli occhi più sereni in un secondo momento. Come in una visione leopardiana della felicità dopo il dolore. 
E' strano e complicato da spiegare, so che qualcuno di quelli che stanno leggendo però può capirlo. (Sì, dico a te tpn, tu riesci a capire quello che passa nei marchingegni del mio cervello) Se mi si perdona il banale accostamento di parole, mi ha permesso di crescere a livello umano. Sono arrivato ad amare me stesso, ed è paradossale se ci si pensa bene.
Fatto sta che sono a questo punto. Mi amo. E faccio quello che mi è possibile per amare me e gli altri nella maniera più sana, non è semplice, ma mi è sempre più naturale, ed è questo che conta.

Ah e poi scrivo un po' a cazzo, ma sono perso nel mio mondo (che un po' è anche il tuo).

Heimlich che non è più il bruco di Bug's life

23 ottobre 2014, 2 anni e 9 mesi di TOS

Ho quasi ventuno anni. Non sono molto alto. Ho gli occhi castani e di solito ho sempre avuto anche i capelli castani, ma con il lavoro di quest'estate le punte sono diventate bionde, come se avessi fatto i colpi di sole dal parrucchiere. Ho le guance e il mento ricoperti di barba non troppo folta. Le braccia sono forti, così come le gambe e la schiena. Riesco a stare a testa in giù e a toccare il pavimento con le mani senza piegare le ginocchia.
Da piccolo mia sorella mi diceva di coniugare tutte le frasi al femminile, io mi domandavo la motivazione.
Ora so che l'unica ragione è puramente fisica. Che non ci sono colpe, nessuno è imputato né giudice.
Stasera ho trovato per caso questo file nell'hard disk esterno e mi sono messo a leggere, sorridendo un po' di me stesso. E provando una bella sensazione nel continuare a scrivere nello stesso file a quasi tre anni di distanza.
E' come confrontare vecchie foto con quelle recenti. Dà proprio soddisfazione.
Ho quasi ventuno anni. Non sono molto alto, ma non è più un problema. Un'amica mi ha detto che la bellezza non si misura dalla testa ai piedi, ma dalla testa al cielo.

Fino all'anno scorso avevo paura delle persone. Degli esseri umani proprio. Fino a due anni fa non riuscivo né a cantare né a ballare. Andando ancora indietro potrei aggiungere che ho avuto paura a parlare con le ragazze, ad ordinare un caffè al bar, a chiedere consiglio in libreria. Ho avuto anche paura ad abbracciare mia madre. Ho avuto paura a rispondere al telefono e a fare telefonate.
Più di tutto, avevo paura di qualsiasi superficie riflettente.
Ora boh.
Ora non riesco nemmeno a trovare termini di paragone, forse perché non ce ne sono e basta. Non vivo più con mio padre, e questo già è un balzo in avanti nella mia personale catena evolutiva.
Mi ritrovo a girare a torso nudo per casa e questo è un balzo ancora più grande. Quando racconto di me lo faccio con orgoglio, con soddisfazione. Quando parlo di me parlo di una roba che si chiama felicità, e tanto mi basta.

Heimlich (il bruco di Bug's life)

10 febbraio 2012

Mi accarezzo la pancia con movimenti lenti e circolari, ho scelto una zona per me simbolica e devo immergermi in quell'attimo per tutto il tempo che ritengo necessario.
Una carezza in senso orario.
Una carezza in senso antiorario.
Con quest'atto mi sono a pieno titolo fatto la prima ecografia per vedere realmente me stesso.
Inspiro piano. Espirando, faccio un tuffo all'indietro.


Quando ci si rende conto che qualcosa non va.

Sono nel vialetto di casa, non so cosa sto facendo di preciso, sono solo consapevole del mio corpo e del fatto che c'è un altro corpo più grande accanto a me. E' mia sorella. E' mia sorella che si prende cura di me mentre nostra madre è al lavoro.
Non so cosa sto facendo di preciso, sono solo consapevole del mio corpo che è fermo nel vialetto di casa, e di mia sorella che mi sta accanto.
So che ho appena fatto qualcosa di cui vado fiero. Dico ad alta voce che sono stato bravo.
Stonatura. Incrintatura nello spazio e nel tempo. Velatura di incomprensione sulle mie iridi. Mia sorella mi ha appena detto che ho sbagliato, che non devo dire che sono stato bravo, che non è vero. Io non sono stato bravo. Devo dire che sono stata brava.
Alzo un sopracciglio. Poi l'altro. Annuisco, non posso fare altrimenti.
Le prendo la mano, camminiamo insieme.

Il momento in cui ho dovuto ammettere a me stesso che qualcosa non andava come avrebbe dovuto è stato esattamente quando ho fatto il mio ingresso nella "società". Ovvero dal mio primo giorno di scuola elementare.
Sono sempre stato più piccolo degli altri miei coetanei, sia in senso fisico che per età, essendo nato a fine anno ho sempre avuto a che fare con bambini più grandi di me, e questo non è mai stato di aiuto.

"Ma sei un maschio o una femmina?"
"Ma perchè non ti metti mai le gonne?"
"Devi dire bravA, non bravO."
Chi ero?
Se mi veniva spontaneo parlare mettendo le O finali, perchè dovevo fare diversamente?
Per quale ragione tutti mi guardavano storto se a scuola portavo i capelli corti?

-Sì, ma dimmi pure l'altro nome.- mi guardò sorridendo.
Rimasi per qualche istante paralizzato.
Avevo visto quella donna si e no due volte, non mi conosceva, mi ero presentato anagraficamente.
Eppure lei chiedeva il mio nome, il mio vero nome.
“Perché?” mi chiesi.
Poi le risposi:
-Christopher, “ch” e “ph”.- precisai.
-Meno complicato non potevi sceglierlo?- mi domandò con un sorriso.
Sorrisi a mia volta. Ero imbarazzato, per una volta in cui erano gli altri a venirmi in contro mi sentivo quasi in difetto.
Mi calmai. Era giusto così. Non era quello che avevo sempre desiderato?


Post t

Ti guardi allo specchio. Cosa sta succedendo?
Sei tu.
Ogni giorno cogli qualche dettaglio che ti assomiglia, sorridi, ti accarezzi il volto.
Hey, bentornato!
Senti la vita che scorre nelle vene, anche se sei irrequieto, nervoso, attaccabrighe, sai che sei tu.
Hai i piedi per terra, le mani appoggiate alla fredda porcellana del lavandino.
Ti guardi. Sorridi.
Alzi un sopracciglio. Poi l'altro.
Muovi i muscoli del volto e fai schioccare la lingua.
Ogni movimenti adesso ha un senso.


Esistono anche le fosse.
 
Mi sono sentito come sette anni fa, quando mi guardavo allo specchio e vedevo sotto alla maglietta delle forme nei punti sbagliati.
E' stato lo stesso orrore.
Dovevo andare in palestra, stavo male, ero rincoglionito, cercavo qualcosa, ma non sapevo né da dove cominciare né cosa cercare. L'univa cosa che mi salvava era la palestra.
Ero troppo pieno di tristezza e solitudine, di ansia e nervosismi.
Da qualche giorno sentivo le canotte stringere di più, mancava il fiato, allora le mettevo solo per uscire, aprendo il velcro o la cerniera quando potevo.
Quel giorno non potevo, ne avevo bisogno.
Faceva troppo caldo per fare palestra con la felpa.
Andai di fronte allo specchio per vedere come apparivo senza canotta.
Fu un pugno nello stomaco.
Tonde, belle, seppur più piccole del solito, erano lì. Erano lì a rinfacciarmi la prigionia in cui le avevo tenute soffocate per anni, le bastarde.
Abbassai occhi e felpa.
Sarei andato con la canotta in palestra.


Accadeva l'anno scorso, file salvato sull'hard disk come "Latte di soya", ritrovato adesso e messo in archivio


"Ho scritto di mio padre, in parte.
Poi sono passato davanti al supermercato stamani, dovevo andare in palestra perché ieri sera mi ero dimenticato lì la crema per il tatuaggio.
E insomma, passavo di lì, e c'erano quei dinosauri di cartapesta del Carnevale dell'anno scorso. Ti ricordi? Mi sei venuta in mente.
E mi è venuto in mente che se le cose fossero andate in maniera diversa, sicuramente saremmo passati di lì. Saremmo andati all'Esselunga a prender magari il solito litro di latte fresco e le banane per tua madre.
E avremmo visto i dinosauri. E avremmo riso."
"Ah. E' forte quello che hai scritto. E' veramente forte."
"Vedi perché ho paura a mostrarmi? E' tutto molto forte, e se mi guardaste troppo a fondo finirei per soffocare. Nelle parole c'è sempre una piccola parte di me. Non posso darmi a tutti. In quante persone sarei frammentato altrimenti?"
Non so nemmeno perché ti ho scritto quello che ho pensato questa mattina, forse perché comunque ti vorrei partecipe della mia vita, vorrei che ricoprissi ancora un qualche ruolo, anche se tutto non potrà più essere come prima.

Non potrà più esserlo, perché niente è più come prima. Troppe cose sono successe. Troppe parole sono state dette. E non dovevo nemmeno scrivertelo quello che ho pensato, non credevo che ti potesse fare male, ti chiedo scusa.
Ti ho permesso di affacciarti al mio abisso. Ti sei spaventata. Va bene così, devi starne alla larga.
Devono starne tutti alla larga.

"Per te non è stato forte scriverlo? E' qui che non capisco come fai ad essere diventato insensibile a tutto."

Ancora con questa storia dell'insensibilità.
Tu sapessi. Tu sapessi quanto sono diventato se possibile ancora più sensibile di prima.
Come ho detto a lei, è come se avessi lo zoom sul mondo. Tutti i particolari diventano vivi, tutte le forme, tutti i volumi. Potrei stare delle ore ad osservare un filo d'erba o il profilo dei cavi elettrici che si aggrovigliano tra di loro! Ma non vedi tutto quello che hai attorno?
Com'è tutto così strano, così... così. Guardati le mani e sogna. Perditi tra i meandri delle infinite pieghe!
Per questo voi non vivete mai. Per questo dite che sono io l'insensibile.
Io ci sono perso tra i labirinti delle forme, per questo non mi vedete più. Ma è solo perché ci sono dentro.
Sono dentro al mondo.
Sono parte del tutto.

"Fare senza aglio che alla Dè non piace."
Ecco il mio nuovo segnalibro.
"Dè" sta per Debora.
"Debora" sta per mia sorella.
Era un biglietto che mia madre aveva lasciato a mio padre. Per non fargli mettere l'aglio nella bruschetta con i pomodorini.
Ho annusato l'aria dopo averlo letto, c'era puzza d'aglio.
Come al solito lui se n'era fregato e aveva pensato che con l'aglio sarebbero state più buone. Quindi perché non mettercelo?
-E' morto Gianfranco, l'idraulico, quello che veniva sempre qui. Te lo ricordi?- mi aveva detto proprio mio padre, appena entrato in cucina.
-Ah, cazzo.- la mia risposta, mentre mi fingevo dispiaciuto.
Era appena caduto tra di noi quel velo di circostanza che solo la morte può dare.
Chissà perchè poi.
Chissà perché io e lui riuscivamo ad avere un tono normale solo quando parlavamo di morte.
La verità è che la morte lo terrorizzava.
Lui.
Un uomo di circa 60 anni (non ho voglia di contare) che ha rischiato di tirare le cuoia per una cirrosi epatica da urlo.
Lui.
Lui che si sentiva potente su tutto e tutti, che DOVEVA essere potente.
DOVEVA avere il controllo di tutto, lui.
Lui, questo uomo che si rendeva improvvisamente conto di essere ormai con un piede e mezzo nella fossa.
E dall'altra parte c'ero io.
Quell'anno sarei andato per i venti.
Ero giovane, ero in forma, se avessi voluto lo avrei potuto buttare giù con un calcio forte e ben assestato; sapevo come fare. Ma l'idea non mi aveva mai sfiorato la mente.
Strano. Con tutto quello che ci aveva fatto...
E lui si ritrovava sempre, puntualmente, così, quando parlavamo della morte.
Si rendeva improvvisamente conto che da quanto è grasso non poteva nemmeno allacciarsi le cinture quando guidava (Per questo, forse, non scala mai la quarta?).
Mi stavo convincendo sempre di più che quando mi guardava vedeva il se stesso di tanti anni prima. Di quando faceva il paracadutista nella folgore e i muscoli guizzavano sotto la mimetica.
Mi stavo convincendo sempre di più che più passava il tempo, più la barba cresceva e la voce si faceva roca e profonda, e più lui, quando mi guardava, vedeva se stesso.
Vedeva se stesso migliorato di centomila volte.
E la cosa lo spaventava, lo rendeva esterrefatto.
Perché DEVE ESSERE LUI il migliore.
Era più o meno da un'ora che stavo leggendo "Donne" di Bukowski, il libro del quale la sera prima (o "la mattina presto", usando le parole di Laura) le avevo letto qualche parte. A lei.
Era cominciato tutto da lì.
Alla fine Laura non era riuscita a fare la doccia, o meglio, l'aveva fatta solo per metà.
L'acqua calda non arrivava più e lei era rimasta intirizzita a tremare per il freddo.
Io mi ero messo a leggere mentre la aspettavo, convinto che stesse solo impiegando un tempo gargantuesco per lavarsi.
Ad un certo punto aveva vibrato il cellulare.
Un SMS.
"Dimmi che mi puoi chiamare, ti prego".
Era mezzanotte e cinquantotto.
L'avevo chiamata.
L'avevo chiamata e mi aveva spiegato la storia della doccia.
Mi aveva detto che "suo fratello grande" (sempre così lo chiamava) le aveva chiesto di parlare. Laura non aveva rifiutato, era andata da lui e aveva parlato con lui. Per sentire poi sempre i soliti discorsi triti e ritriti.
"Devi essere forte tu per tua madre, non lo vedi come sta? Ci spaventa."
Provai a mantenere un certo autocontrollo mentre mi spiegava tutto per telefono, mentre la sua voce stanca e sempre un poco spaventata mi accarezzava le orecchie.
Tempo prima glielo avevo detto, che la sua voce era come una carezza. Sembrava sempre sul punto di non avere il respiro. E così ti accarezzava le orecchie.
-Mi sembra d'essere tornato ai tempi di Galileo con l'Inquisizione. Chi glielo dice che è la Terra a girare attorno al Sole e non il contrario?- avevo sbottato.
Lei aveva riso.
Mi ero sentito per un secondo importante.
Poi avevo cominciato a raccontarle del libro che stavo leggendo, aggiungendo che non era il suo genere.
-Però ci sono dei pezzi molto belli.- avevo aggiunto.
-Me li leggi?- mi aveva risposto lei in un soffio.
Così avevo cominciato. Mi piaceva leggere ad alta voce, anche se non l'avevo mai fatto con nessuno. Solamente a scuola, anni fa, quando chiedevano se qualcuno volesse leggere speravo sempre che chiamassero me, anche se mai e poi mai mi sarei fatto avanti. Mi vergognavo. Però pensavo che se fosse stato qualcun altro a chiedermelo, allora avrei avuto il pretesto giusto.
Cominciato.
Finito.
-Ancora.- la sua carezza alle orecchie.
Un altro..
La voce mi si soffermava sulle parole che avrei voluto dirle, ma che sempre mi si fermavano in gola. Leggere quelle di qualcun altro era molto più semplice, era come se le facessi mie solo per il fatto che le dicevo con la mia voce. Ma avevo sempre la scusa di dire "eh no, ma non sono mie, non le ho scritte io."
-Ne hai ancora?- mi chiese.
Continuai.
E di nuovo finii.
-Ancora.-

Mercoledì sera. O forse era martedì? Boh, non so più tenere conto dei giorni. Una volta andare a scuola aiutava anche in questo. Ora so solo quand'è che è lunedì, quando è martedì e quando è venerdì. Sono i giorni in cui devo svegliarmi alle 6 di mattina per andare al corso.
Insomma, facciamo che fosse mercoledì sera.
Mercoledì sera sono andato in quel locale, il Pool Jazz.
Serena cantava nel coro della sua band che fa cover di famosi pezzi rock. Sono bravi. Abbastanza. Accettabili per esser giovani.
Il cantante però, ogni volta, mi fa morir dal ridere. Si crede figo. E' abbastanza simpatico, non ci ho mai parlato veramente a dirla tutta. Ma è esilarante quando si mette gli occhiali da sole alle 11 di sera per cantare. Sul serio, è esilarante. Mi verrebbe da ridergli in faccia. Una volta l'ho fatto.
Se si mette gli occhiali salva la vista a molta gente, non è proprio tutta questa gran bellezza. Con gli occhiali da sole sembra quasi figo, però.

E quindi ero lì. Ho chiesto a Ciulia se le facesse piacere che l'accompagnassi io, non mi andava di arrivare lì da solo come il lupo che ero. Mi andava di fingere un po' di essere qualcosa di sociale. E Ciulia era l'unica che fosse un po' lupo come me. Era l'unica persona di cui mi fidassi in 'sta merda di città.
Mi ha detto che andava bene.
Al Pool ci sarebbero stati, oltre a Serena, anche Giulia e il ragazzo che ha conosciuto da poco, Luca, e di certo non volevo far la figura dello sfigato asociale che si sceglie la solitudine.
Anche se so perfettamente che sono così, compresso in questa unica frase.
Sono uno sfigato asociale che si sceglie la solitudine.
Tsk.

L'indignazione verso le prese per il culo che mi stava facendo Giulia in quei giorni stavano scemando. Tanto per citarne due, mi aveva proposto di vederci domenica scorsa insieme ai nostri amici storici. Ok, avevo detto io, almeno con la scusa della pennina USB e alcune cose che dovevo ridarle, speravo di poter parlare un po'.
Sabato le chiedo di farmi sapere gli orari, e mi sento dire che "no, domenica non posso, esco con Luca".
Ok, dico io. Nel frattempo ci eravamo messi d'accordo per vederci sempre tutti assieme il lunedì.
Ok, ridico io.
Ci sarebbero stati anche Stefano, Serena e Ciulia. Tanto meglio! Era così tanto tempo che non li vedevo. Sarei voluto uscire quasi solo esclusivamente per vedere loro.
Alle sei della domenica mando un sms a Giulia per sapere gli orari del giorno dopo.
"No scusa ma esco con Stefano, Serena e Ciulia e c'è pure Luca. Scusa ma non mi va ancora di farvi conoscere, mi sento in imbarazzo."
E se permetti ora mi girano le palle.
Dico ok lo stesso. Ma mi girano le scatole. Stefano scende dalla sua cazzo di città sui monti una volta ogni morte di Papa, e Giulia mi dice che non posso esser con loro?
"Sei un po' freddo" mi scrive per messaggio lunedì mattina.
Le dico chiaro e tondo che mi ha fatto girar le palle.
Lei mi dice che se voglio ci possiamo vedere la sera.
Prima le dico di no. Non le voglio dar soddisfazione.
Poi mi dice che Ste sarebbe rimasto fino a tardi, allora acconsento.
Ma nel pomeriggio mi manda all'aria pure tutta la serata.

E quindi si torna a mercoledì sera. Al Pool Jazz. Arrivo lì con Ciulia. Giulia mi saluta, si è tagliata un po' i capelli, non me la ricordavo così bella. Sono tutti seduti ad un lungo tavolo in legno. Serena deve ancora arrivare, Luca è seduto di fronte a Giulia.
Mi sento a disagio. Mi sento di troppo. Io e Ciulia, lo vedo che anche per lei è così. Ci guardiamo come per dire "Ma che siamo venuti a fare?"
Prendo la scatola di un Forza 4, tra i giochi da tavolo che il locale mette a disposizione, e comincio a giocarci con lei.
Vinco una cosa come 10 partite di fila, una volta mi batte lei, poi riprendo con le mie vittorie. Si stufa.
"Non ti diverti più eh?" ridacchio.
Allora le propongo di fare a cazzo. Prendiamo i tondini rossi e quelli gialli del gioco e li mettiamo a cavolo nella griglia, l'immagine che si forma sembra quella di una cattedrale gotica dal contorno rosso e l'interno giallo.
Ogni tanto alzo gli occhi verso Luca, mi piace come tipo.

Stavo prendendo io per il culo il mondo o era il mondo a prendere per il culo me? Non sapevo rispondere.
Mancavano dodici minuti a mezzanotte. Era giugno e pareva d'essere a inizio ottobre. Stava per nascere mia nipote, stavo perdendo Laura e avevo già perso Giulia, mio padre era il peggior giudice di se stesso e mia madre andava avanti a grappa e limoncello e venditrici porta a porta di elettrodomestici.
Volevo solo piangere. Volevo che qualcuno mi circondasse le spalle e mi permettesse di piangere in santa pace. Ciulia si era fatta una canna, prima, lei e Martina che continuavano a dire cosa avrei dovuto fare con Giulia. "State prendendo tutti per il culo."
Quella fu una delle sere in cui mi resi conto di essere veramente un vigliacco. Avrei voluto morire, ma non avevo le palle per farlo.
E non perché pensassi a come sarebbero stati gli altri senza di me. Ma perché non sapevo a cosa sarei andato in contro.
E se fosse stato peggio?
Poteva Sempre andare peggio, quello ormai l'avevo appurato in venti anni di esperienza sul campo.
Ma soprattutto non volevo che mi venisse messa addosso l'etichetta di quello che non ce la faceva più.
Io sono forte.
"Metti da parte quel cazzo di orgoglio." Laura, in una delle ultime mail.
Quello che non capiva era che non si trattava di orgoglio. Ma di una fottuta paura nei confronti delle persone.

Insomma, mia sorella era appena stata portata all'ospedale. E io non avevo la minima intenzione di andarci. Ancora paura. Paura di vedere la gente. Paura di vedere una persona che un attimo prima respirava dentro l'acqua come i pesci e un attimo dopo strillava nel bel mezzo di una sala asettica.
Paura di mostrarmi. Paura di far vedere i miei pensieri.
Avrei voluto piangere. Ma poi sicuramente avrei sentito le solite frasi canzonatorie da parte di mia madre e forse di mia sorella stessa. "Frignone"
Non si poteva essere felici per qualcosa di bello. Non si poteva mostrare dolcezza in casa mia. Guai. Piuttosto butta via ciò che hai nel piatto.
Guai a farsi vedere emotivi, in casa mia.
Quella sera, essere felici era qualcosa che assomigliava molto alla leggenda dell'alligatore nelle fogne di New York.
Mia sorella era appena stata portata all'ospedale. E io me ne restavo davanti al pc, a scrivere, con la casella gmail aperta, e con la fottuta speranza che Laura mi scrivesse. Non importava cosa. Avevo solo bisogno che lei mi scrivesse.
Non avrebbe scritto, avrei aspettato un'ora, avrei spento il pc, spento il modem, salito le scale; mi sarei cambiato, lavato i denti e mi sarei messo nel letto, con il telefono accanto.
Odiavo questo mio essere dipendente da chi anche solo una volta aveva scambiato con me parole dolci.
Quella sera, mi odiavo.
Perché c'era questa moda di essere acidi con chi ci tratta bene, e io no, non l'avevo ancora capito.


martedì 14 ottobre 2014

Ti inciampo nelle labbra

-Devi tornare a vedere la soffitta comunque, e a conoscere Ian
-Cazzo,
la soffitta,
pure Ian,
ma la soffitta ha la precedenza.

-E' che ci impantaniamo.
-Ci ingolfiamo

-Ti inciampo nelle labbra ed è un casino
Passavo di lì e tump
Sai com'è

-Ti inciampo nelle labbra
ahahah

-Ci si ingolfa
-Sì, capisco

-E poi è un casino per davvero
-A me non dispiace...

-Nemmeno a me, dilatiamo il tempo praticamente
-Ce lo mangiamo,
E' diverso

-Ah beh sì, è vero
-Entriamo in un'altra dimensione
E là il tempo è dilatato

-Ti si incastra proprio addosso e mentre ti accarezzo i capelli va via effetto cenere col vento, e tu uguale
-Dai
Formicolo

-Screpoliamo il tempo.
Che figata.
Formicoli?
-Sì, formicolo

-Va dato un bacio allora

lunedì 13 ottobre 2014

La cosa più dolce

(22:21) 13 ottobre

La cosa più dolce e bella è stato svegliarmi con Sofia accanto.
Dopo aver staccato con il mondo la sera, tenendosi stretti, e ritrovarsi ancora così al mattino.
Ti senti invincibile.
E ritrovarsi poi ad inciampare tra le labbra in ogni posto.
E' che sai, passavo di lì e c'era il tuo viso e mi son girato e poi ops.
Avevi un sussurro addosso e non ho potuto fare a meno di ascoltarlo.
Te lo portavi dietro ovunque, ogni volta aveva qualcosa di diverso e come si fa a restare indifferenti?
E con la punta delle dita ci toglievamo di dosso tutto il tempo passato a cercarci e correrci in contro, si condensa da qualche parte a livello subatomico. A quel punto non esiste più niente.
Può benissimo entrare la Sopa in camera, ma col cazzo che ce ne rendiamo conto.
Siamo lì a scambiarci la vita. Le tue mani che partoriscono brividi lungo la mia schiena.
La mia bocca sul tuo collo, la tua che lascia uscire sospiri e gemiti trattenuti.
Guardandoti negli occhi, cercavo di darti le mie sensazioni, di farti capire che eri magnifica con quello sguardo da giovane guerriera.
Chiunque fosse passato di lì, ci avrebbe visto danzare al ritmo del cosmo.

Sotto le mani, le costole

(21:05) 9 ottobre

Ieri l'aria era ferma e tiepida. La luna piena mi camminava a fianco mentre andavo in direzione del molo.
Stanotte non so come sia il mondo. Sono in una specie di ritiro mistico, preparo la mente a domani. Sofia arriverà a Pisa con il treno nel tardo pomeriggio.
La voglio. E la aspetto come se con lei arrivasse una parte di me con cui ricongiungermi.
Sotto le mani sento ancora la forma di quella sua costola rotta e ricalcificata male. C'è un piccolo avallamento, un'interruzione nel flusso della sua gabbia toracica.
E' lì che si posavano spesso le mie mani. Era come accarezzare qualcosa di unico, di fragile, di trascendentale.
Mi cercava con tutto il corpo; ad ogni bacio sul collo era scossa da un fremito forte e ogni limite fisico prendeva un valore al negativo. I vuoti erano pieni e i pieni diventavano vuoti.
Ventre contro ventre, tutto il nostro essere si era dissociato e non esistevano più due entità, bensì un'unione di due frammenti infinitesimali del tutto.
Il suo respiro era il mio, negli attimi in cui le nostre labbra erano tanto vicine da sfiorarsi.
Tutti i muscoli tesi e fermi, carichi in attesa dell'inevitabile scontro di carne e anime.
Le parole sono riduttive, non riesco a descrivere quella sensazione di calore e tepore in tutto il corpo, mista alla potente adrenalina che fa aumentare il battito e la sudorazione.
E poi io che l'abbraccio da dietro, davanti allo specchio, e vedo perfettamente il suo corpo e il suo viso riflessi. Sua madre che entra in casa, Sofia che ritorna in sè e mi spinge via. Sua madre che di nuovo esce e il tavolo della cucina che ci fa da angolo inaspettato in cui gettare tutto il dolore e ci fa accarezzare, mordere e baciare come se nel corso delle cose ci fosse stato un leggero intoppo esterno tale da far sventrare tutto.
E la guardavo come se fosse l'ultima volta in cui avrei potuto far correre le mie iridi tra le sue ciglia.

Post-sbronza

(00:07) Viareggio, 5 ottobre

Mi sento come se fossi appena uscito da una sonora sbronza. E' la miriade di sensazioni di questi giorni a farmi aprire tante crepe dentro.
Ho talmente tanto tra le costole che tutto non ci sta, il mio spirito non regge e ho bisogno di metabolizzare.
Mai mi era capitato di provare qualcosa del genere solo a sfiorare il corpo di una donna. A sentire le sue labbra ad una distanza infinitesimale e a respirare a pieni polmoni il suo respiro.
Ebbro.
Ebbro dei suoi fianchi, del suo collo, della sua schiena liscia, tela perfetta per le mie mani che disegnano arabeschi invisibili.

martedì 23 settembre 2014

Uva e stelle

23 sett, 22:53

Appena uscito dall'allenamento, forse più carico di prima.
Caffè della Strega, tisana alla malva di nuovo nella tazza del toro.
Ho il cuore che mi esplode.
Ci sono troppe cose intense in questo periodo, ed è bello. Però non ho la possibilità concreta, al momento, di godermele.
Devo solo aspettare, l'uomo delle attese che torna a fare il suo mestiere che tanto gli riusciva bene.
Tutto questo mi dà la sensazione della sabbia che scorre tra le dita.
Ho dei ragazzi accanto che parlano di politica, altri, dietro, di film.
E' un bel posto per stare da soli questo. E' quello che cercavo in questi giorni.
Un luogo in cui potermi sedere da solo senza che nessuno si interessi a me.
Ieri sera guardavo il cielo. C'erano tante stelle sopra alla mia testa.
Non trovo mai le Pleiadi, però, quelle che mi ha fatto vedere lei a Fregene.
Forse è la longitudine un po' diversa.
Verso la tisana.
Leggero rumore di porcellana.
Il vapore non mi appanna gli occhiali.
E quindi ieri guardavo il cielo. E non mi sentivo più io.
Ed era strano e bello. Il mondo risuonava e ogni passo sul selciato che stavo percorrendo faceva un'eco sorda.
I paradossi della fisica.
Mi sono domandato la mia identià e il mio scopo in quanto essere umano, senza aspettarmi una risposta. E adesso mi viene in mente lei che mi scrive che io mi do senza riserve, ed è una cosa meravigliosa.
Mangio l'uva che mi hanno portato assieme alla tisana, sputando i semi e togliendo la buccia dai denti con la lingua.
Non è necessario sapere il mio scopo preciso qua, posso anche permettermi di rigirarmi qualche secondo l'acino in bocca.
I due ragazzi qua accanto parlano dell'Europa, del sistema economico e di quello politico.
Io parlo d'uva e di stelle.
E la differenza non è poi così immensa.
Mi giro una sigaretta, mentre aspetto che si freddi la tisana.

Colpo di tosse.
Manca poco soffoco.
Ma non mi interessa, in realtà, poi così tanto smettere.
E' più il gesto di rollare che mi piace, più di fumare; ci trovo qualcosa di mistico e rituale.

Tre sorsi di tisana, a contrastare le lame del tabacco.
Vapore e fumo che si mescolano.
E lo trovo interessante molto più di tante cose ritenute altisonanti.
A differenza del troppo rumore di queste ultime, qua c'è silenzio che penetra piano nei vicoli stretti del mondo. Quelli che poi sfociano in ampi spazi in cui senti il respiro del tutto.
Bacio il toro.
Mentre il vapore si fa spazio e mi scalda la pelle.

Biscotti

-Hai voglia di mare?
-Ho voglia di stringerti.
-Hai voglia di stringermi sulla spiaggia?
-Ce l'hai con il mare eh? Dove ti pare, il luogo è accessorio.
-In un supermercato?
-Tra i surgelati.
-No, fa freddo. Reparto biscotti.
-Tra i biscotti, allora.

Bologna

21 sett

Sono stato a Bologna ieri, si è rivelata come al solito un nodo essenziale in quello che è il mio "cammino".
Ho incontrato e conosciuto tante persone che hanno fatto, devono fare o stanno facendo il mio stesso percorso. Eravamo una quarantina, tutti con la stessa luce negli occhi.
(La barista della Cubana, oggi, ha fatto un po' di conversazione, la prima volta dopo circa un anno che vengo qua.)
E Bologna aveva il cielo plumbeo, come quel sabato di un gennaio che fu l'inizio di una nuova scoperta di me stesso.
Ieri mi sono reso conto di conoscere ancora tante delle sue strade.
Ed è servita a mettere un po' di confusione e paradossale chiarezza dentro all'anima.
Ho trovato un'oasi e in questo momento i miei occhi si stanno riposando all'ombra di qualche fronda assieme ad una viaggiatrice, e non provo alcun interesse nello spostarmi dal profumo dei suoi capelli.
Nonostante tanti occhi cerchino i miei proprio adesso. Ma tanti occhi non sono i suoi occhi.
E' solo questione di vibrazioni.
La carta della sigaretta brucia anche se non aspiro.
E mi viene in mente lei che mi dice di aver dato buca al suo insegnante di inglese, nonostante sapesse di poter condividere la sua pelle con quella di lui.
Vedo il mio riflesso nel vetro trasparente che ho di fronte, la pelle non è più così bruciata come il mese scorso, i muscoli sono più tonici e l'animo in linea.  Quest'ombra e questa oasi fanno del bene.
Spesso mi viene voglia di sentire le sue labbra.
La sola cosa ad essere disturbante è la distanza fisica tra le mie mani e le sue. Ma se mi volto verso sud e chiudo gli occhi, posso vederla che annulla ogni spazio temporale e riesco a sentire la carezza delle sue guance tremanti, il suo respiro vicino e il calore delle sue clavicole.

Sguardo

Mettimi in controluce,
vedrai poesie.
Attraversami nel buio,
vedrai la luce.

Edward Young

martedì 16 settembre 2014

Follia

"Coloro che danzavano erano considerati folli da quelli che non riuscivano a sentire la musica."

Monet

Black-out

Viareggio, 00:01, 16 settembre

Figura di merda colossale al bar Italia.
Non mi piace molto come posto e probabilmente le prossime volte cambierò.
Comunque sia ho fatto una vera figura di merda. 
Sono rientrato e i baristi erano dietro al bancone a sistemare. Uno si gira, faccio "ciao", e contemporaneamente Max Gazzè alla radio è partito con un "ciao".
Mi sono bloccato.
Il tipo mi ha guardato strano, ho cominciato a farfugliare cose a caso e quello manca poco si incazza. Sono riuscito a dire solo "un cappuccino".
Dopo pochi istanti son riuscito a sbloccarmi, mi sono scusato dicendo che ero perso nel mio mondo, ma ormai la stronzata era fatta.

Mi sono piazzato su una panchina.
Niente locus amoenus, come direbbe lei.
Stiro il collo all'indietro e sento delle gocce.
Sta cominciando a piovere.
Cambio bar. 
Chiedo un orzo e me lo fanno anche se sono in chiusura.
-Faglielo a un euro, mi sta simpatico.-
Però scorda il cucchiaino.


Ponte Milvio, quasi mezzanotte.
Piove e non ci muoviamo. Potrebbe essere la tipica scena da filmetto adolescenziale.
-Me sto a fracicà!- e ride.
Ecco una cosa per cui mi piace.
Siamo seduti sul muretto, sotto di noi il Tevere corre rumoroso.
-Potresti essere chiunque, sono qua con te e non ti conosco. Mi potresti pure buttare di sotto. Magari sei un assassino.-
-Anche tu potresti esserlo.-
-Tu hai un appiglio con le gambe, io no.-
Mi sposto con entrambi i piedi che penzolano nel vuoto.
-Ora sei in vantaggio tu.-
E' stata tutta solo questione di fidarsi senza riserve.
E' una roba che senti a pelle, è istinto, è qualcosa di viscerale, che senti dentro alla base dello stomaco.
E sai che non ti ferirà. E lei sa che non la ferirai.
-Se cado che fai? Ti butti o corri sulla sponda?-
-Direi che corro e poi mi butto.-
-E' dalle 11 di stamani che parliamo.- mi fa notare.
La cosa mi stupisce e mi pare normale al tempo stesso.
-Pensavo a una cosa. Ci pensi che prima quando parlavi delle scarpe da comprare, qualsiasi persona che fosse passata avrebbe potuto benissimo pensare che stiamo facendo discorsi stupidi? Chissà quante volte è capitato.-
-Va beh, era un discorso stupido.-
-Vanno benissimo anche quelli.-
La pioggia smette di farci da cornice. Comincia nuovamente a passare gente.
Ci sono i suoi occhi ed è un casino perchè non posso non guardarli.
Se ne accorge, e ogni tanto ci sono delle pause in cui tutto si ferma.
Non faccio niente per nasconderlo.
Perché dovrei?

E mi viene voglia di sentire il suo cuore contro le mie costole.


00:48
Camminando un po' ho trovato il mio posto.
Sono sul molo. Non ci sono persone.
Niente vento stasera.
E sì, era tanto che non sentivo questo.
Sono qua che ascolto il ritmo calmo del mondo.
Sulla spiaggia a Fregene, Sofia mi aveva parlato di questa teoria secondo la quale non esiste il silenzio assoluto.

Black-out.

Sono rimasto al buio completo per pochi secondi, si erano spenti tutti i lampioni.
Un allarme di auto suona in lontananza.
Il mondo s'era preso un colpo di sonno. Sarebbe stato bello se fosse durato di più.
Guardo il mare e non riesco a distinguere la linea dell'orizzonte. E' tutto una campitura uniforme.
Ancora un attimo di black-out. E la campitura si espande.
Secondo quella teoria ogni piccolo movimento dell'universo crea una melodia armoniosa e bella che noi però non possiamo percepire, ma se questa smettesse sapremmo veramente cos'è il silenzio. 
Il silenzio come noi lo conosciamo non è dunque nient'altro che musica.

Roma

Viareggio, 17:57, 14 settembre

Namastè, Sofia.

E va bene che ero partito senza alcuna aspettativa, senza nemmeno sapere se l'avrei vista o no. E va bene anche non dare troppa importanza.
Però mi manca.
Sono stati giorni che mi scorrono dentro alle pupille come la pellicola di un film breve o come la puntata cruciale di un telefilm.
Il cuore mi inciampa e sulla pelle posso vedere i brividi che mi scuotono se penso al modo armonioso e perfetto in cui tutto si è concatenato.
Spengo la sigaretta che rimane perfettamente verticale nel posacenere della Cubana.
-Tu pensi troppo.- mi diceva.
Le rispondevo di saperlo.
Ero arrivato a Roma dopo circa sei ore di viaggio, due sole fermate per fare metano.
In auto con me c'erano due ragazzi e una ragazza che mi hanno contattato dal sito Bla Bla, praticamente mi hanno pagato il viaggio.
Erano un italiano e due brasiliani, ognuno con percorsi diversi.
E' stupendo conoscere gli occhi delle persone.
Milly, la ragazza, stava viaggiando per l'Italia, senza motivazioni apparenti; ha affittato una casa sperduta tra le campagne romane.
Dopo aver accompagnato a Fiumicino il suo amico, sono rimasto con Ario e lei.
L'abbiamo portata insieme a destinazione. Ed è stato grottesco conoscere il ragazzo che la aspettava.
Era sul ciglio della strada fuori dal mondo, con una tazza scura in una mano e l'altra nella tasca destra dei pantaloni beige.
Ai piedi solo delle ciabatte.
Subito dopo sono andato a casa di Ario.
E' difficile da riportare tutto il mare di sensazioni provate.
Posso solo essere certo che io e quel ragazzo siamo molto simili.
Ero arrivato lì senza alcun programma specifico, con l'idea di passare la nottata in auto.
Alla fine l'alloggio me l'ha trovato lui; ho passato la serata a casa di un suo amico, e sembrava ci conoscessimo da sempre.
Nel frattempo mi tastavo il cuore con la punta delle dita, pregandolo di non essere troppo ansioso e affidandomi al flusso della corrente.
Non ho mai fatto niente di tanto giusto.

L'ho vista il giorno dopo.
Sotto casa sua, il sole che sbuca e le illumina le guance bronzee da attrice.
Gli zigomi alti dicono di guardarla negli occhi.
Lei che mi abbraccia, io che fingo di non essere teso.
E ci riesco anche con me stesso.

Fuori dal bar vicino casa sua comincia a piovere. Tuoni forti e sferzate di pioggia sul viso. Non ci importa, rimaniamo lì. Come due animali curiosi che studiano il linguaggio di quello che non dicono le labbra.
Parliamo, ma non saprei dare un ordine a ciò che mi è rimasto dentro.
In realtà parla più lei, ma non mi dispiace per niente. Mi perdo tra le pieghe che formano le labbra quando scandisce le vocali.
Con quella voce da telefilm di prima serata che non puoi fare a meno di stare ad ascoltare.
Sono le pause che ci smascherano però.
Quando le iridi si scontrano e ogni velo cade.
Ed è esattamente come fare l'amore.

La notte a Fregene è umida.
Il mare lo è sempre.
-Ci pensi se si muovessero al contrario le onde?-
Sono i momenti così quelli in cui capisci che hai azzeccato proprio tutto.
La guardo e quasi mi viene da piangere per quanto la vedo bella.

La lanterna parte verso l'alto come un aereo e la vediamo andare su senza mai perdere quota.
E' felice.
-Grazie che posso parlare così con te.-

Spengo un'altra sigaretta, questa si accartoccia un po', ma rimane in piedi come l'altra.

Vorrei ringraziarla anche io, per farmi sentire così vivo.

Abbiamo passato la notte in tenda, lì sul mare. Ho sentito le sue labbra e il mio respiro che inciampava sulla sua pelle.
Come immaginavo, Baricco le piace.

Era tanto tempo che non provavo quella paura un po' mistica nello sfiorare il corpo di una donna.
E' come ritrovarmi di fronte qualcosa di vero e platonico al tempo stesso.
Non si può restare indifferenti.
Non si possono non sentire quei brividi leggeri quando i suoi capelli ti sfiorano e le sue labbra cercano le tue.

E' il modo in cui guarda le cose, è come parla di quelle cose.
E' il fuoco e l'aria.
E' la primavera.
E' il trifoglio nel bel mezzo del deserto.

L'ho lasciata a Roma con un nodo tra i polmoni che ancora non si scioglie.

Chi sa che fine ha fatto Milly.

Come il gatto di Schrodinger

Viareggio, 00:43, 10 settembre

Dovrei andare a casa e dormire, ma sono nervoso.
Domani parto per Roma, anche se non so quando al vedrò.
Era dal giorno della stazione che non mi sentivo così, quando sono andato ad aspettarla. Ho il battito cardiaco accelerato e il respiro corto.
Più che nervoso sono irrequieto.
I pensieri si annodano tra loro e non riesco ad articolarli.
Vorrei un abbraccio, proprio ora.
Qualcosa che scaldi lo sterno.
Prima sono passato di libreria e ho preso Oceano mare di Baricco, volevo prenderlo per lei quel giorno, ma il tempo non era stato d'accordo. Spero di riuscire a darglielo.
Sicuramente le piace.
Un po' mi ricorda il genere di personalità che vivono tra quelle righe, è un libro pulsante. Per una persona viva.
Sono al bar Italia sul lungomare, due persone accanto al mio tavolo parlano e invadono il mio spazio, parlano di cose pseudo-intelligenti giusto per far conversazione.
Il telefono ha vibrato, ho timore a guardarlo perché non voglio incorrere nella delusione di non trovare un suo messaggio.
Un po' come per il gatto di Schrodinger.
Finchè non lo guardo, al tempo stesso può essere lei come il contrario.
Ho bisogno di trovare un punto fermo, una cosa in cui essere felice di stare. Ho bisogno di una persona con cui condividere la mia voglia di coeprte calde durante un giorno di temporale.
Adesso guardo se il gatto è vivo o meno.

Non lo è.
Forse sta solo dormendo.

Parte del flusso

Livorno, 9:52, 7 settembre

Il destino, se così vogliamo chiamarlo, è strano.
Mi è slittata di un tempo indeterminato l'attivazione al primo livello di Reiki per solo un numero.
Avevo chiamato per gli orari due giorni fa, e invece di un 6 ho composto un 8.
Nella mia testa il seminario era il 7 e l'8 settembre, e si è rivelato invece essere cominciato un giorno prima, cioè ieri.
Per una serie di coincidenze, però, sono molto contento di questo. Per una cosa fortemente materiale: i soldi.
Mi avrebbe portato via una buona parte di stipendio e mi farà andare a Roma con più tranquillità.
Ero ad una specie di bivio in cui dovevo scegliere una cosa o un'altra, ed è stato il destino a scegliere.
In automatico le cose da portare avanti sono in numero minore.
E' comunque un giorno di cui tener conto.
Intanto ho appena finito la brioches al cioccolato e il cappuccino (per sentirti un po' di più), sono a Livorno, in uno dei bar lungo mare dove i piccioni mi paiono gatti.
E ancora di più mi sento pellegrino e anche un po' "ebreo errante", come dice una signora.
-La vita è buffa e meravigliosa.- mi ha scritto Aquila, ed è l'unica a cui ho spiegato l'inciampo del cuore.
La cosa che un po' mi dispiace è che non so trovare per tutto questo parole che traducano fieramente l'emozione che sto provando.
A condividerla, la felicità, tutto si quadruplica, ma bisogna saperci fare con i termini, perchè sono le sfumature a dare quella sensazione di pace e purezza che una campitura piena difficilmente può trasmettere.
Sono gli incroci che ogni tanto il destino decide di valutare in maniera differente.
San Vincenzo non ha ancora finito con i suoi paradossali regali che devi trovare scavando (letteralmente) nel fango.


23:58, Antignano

Mr. Barcellona andrà da lei a Roma il 10, quando sarei dovuto scendere io.
Lo capisco tanto. Mi ricorda me non troppo tempo fa.
Lui è preso da lei. Lei no.
Mr. Barcellona ha la mia età, e questi chilomentri gli faranno avere tanti anni in più sulle spalle.
Ora sono in campeggio, a finire la stagione come animatore.
Andare subito di colpo a casa è stato troppo strano e avevo bisogno nuovamente di muovermi altrove.
Mi sono messo a scrvievere su uno scoglio in riva.
A farmi luce ci sono solamente un lampione che prova ad imitare la luna.
Stasera è piena. E non so quale sia tra i due ad illuminarmi di più.
Penso agli occhiali tondi di Sofia, e a lei che mi scrive che il suo gatto sa giocare a nascondino.
Sono sicuro che se fosse qua e le chiedessi di ascoltare cosa borbotta il mare lei saprebbe darmi una risposta.
E mi viene voglia di scambiare il suo profumo con il mio.
Non so quando ci vedremo. Ma è bello anche solo pensarci.
Sono soddisfatto del percorso che sto facendo, anche se stare a contatto con la gente mi è difficile come è sempre stato. Ogni giorno è meglio del precedente, però.
Il mare borbotta che ha sete.
Sto qua ad ascoltarlo, ed è bello.
Lei non crede al destino, la mia idea è tutta da interpretare.
Bisogna solo essere attenti ai segnali che ci diamo da soli.
Il mondo non è altro che un riflesso di ciò di cui abbiamo bisogno.

30 agosto

Venturina, 00:21

Il computer di Roberto è rimasto sulla schermata nera di blocco.
Dovrei premere CTRL+ALT+CANC, ma credo che anche la tastiera abbia dato forfait.
Il ventilatore sopra la mia testa è ancora lì che gira.
Sarebbe bello se fossi bravo a descrivere, potrei raccontare quel momento strano in cui l'ho vista.
Mi ero fermato al solito ombrellone delle signore romane e l'ho vista alzare gli occhi dal libro che aveva sul lettino; è stata l'educazione a farla alzare in piedi. Sulle labbra un piccolo sorriso, lo sguardo protetto dalle lenti tonde e scure.
Sono stati quegli occhiali e quel sorriso da fossetta sulle guance a farmi rimanere lì.
E poi l'ansia istintiva quando camminava con passo sicuro sulla passerella nella mia direzione.
Un vestito bianco traforato a far finta di nascondere un corpo color bronzo contrastante con il bikini arancione. Tutta la luce era sua in quel momento.
Il collo semicoperto dai capelli castani tenuti sciolti. 
Non riesco a descrivere, quando c'è così tanta bellezza racchiusa in un solo fruscio di stoffa, le mani mi cominciano a tremare e il petto si fa caldo. E provo la stessa sensazione che ho guardando il tramonto quaggiù.

La ragazza della capitale

Spiaggia San Vincenzo, 28 agosto, 14:00

E' tutta una roba metaforica, no?
Sì, insomma, la spiaggia, le camminate come quella di adesso. La Conchiglia che fa da oasi non troppo felice ma d'obbligo.
Le signore che mi chiamano "ebreo errante".
Gente che va, gente che viene.
Quello di cui scrivevo tempo fa ha preso forma. Mi ritrovo a segnare orme nella sabbia, ad avere il viso bruciato e le gambe dolenti, la schiena spezzata e i calli sulle mani.
E poi gli occhi della ragazza della capitale.
Un'altra viaggiatrice come me.
Si percepisce da come ti guarda e dal modo in cui respira.
Le sopracciglia non lasciano spazio a dubbi.
Spero di rivederla a settembre, per capire se è stata solo un altro miraggio del caldo e della stanchezza oppure è qualcosa di tangibile.
Oggi, come ieri, tira un forte vento.
Mi piace.
Riprendo il cammino, con le ciabatte in una mano e lo zaino in spalla. 
Dentro solo il fuoco.


Venturina, 22:57

Mi ha scritto che ha vinto una gara di paguri.
E ho pensato che con lei potrei parlare delle mattonelle del bar.

lunedì 15 settembre 2014

27 agosto

Sono al bar.
Ho appena passato un caffè ad un signore anziano seduto davanti a me. Una barista ha commentato in maniera dolce e a me viene da piangere.
Mancano ancora quattro giorni.

Le mattonelle del bar

26 agosto

Il punto è che anche se sono in compagnia, spesso non sento il bisogno di parlare.
Mi piace stare in silenzio, quando non c'è niente da dire, quando sono già stati affrontati i discorsi del momento. Perchè poi non è detto che si possa parlare sempre di qualsiasi cosa. Ci sono alcune cose che si possono dire solo a determinate persone e in precisi momenti.
Se perdi il momento mandi tutto a puttane.
Se perdi la persona scordati pure il discorso.
Non puoi parlare con chiunque, ad esempio, di quante mattonelle secondo te ci sono sul pavimento di questo bar. E nemmeno del fatto che gli intarsi in legno sul bancone sono simmetrici.
Le cose simmetriche mi piacciono, danno una parvenza di sicurezza e stabilità.
In questi giorni sono come sospeso, il tempo scorre piano ed è un po' come il caffè nella moka: sale solo quando non lo guardi.
Ho mal di gambe e in gola è come se avessi una noce.
E' il lavoro qua che si fa sentire. Il clima che c'è è di svogliatezza e pare che nessuno abbia voglia di fare niente, a partire dal principale che è capace solo di dare ordini e puntare il dito.
In questo momento sono al bar dove lavora Federica, la ex-moglie del capo.
Sto aspettando i due baristi del bagno. Non è il luogo che vorrei cambiare, ma le situazioni.
Sono due o tre giorni che svariate persone mi danno dieci anni in più dei miei.
E mi chiedo se sia la barba o la stanchezza.
Voglia di parlare con Sofia.

Lenti rotonde

Venturina, 20 agosto, 22:59

Pochi giorni fa ho incrociato due occhi dietro a delle lenti scure. Hanno confermato quello che sentivo dentro da un po'.
Ha le sopracciglia delle persone decise e gli occhi le brillano di un fuoco caldo.
Sono due giorni che guardo il telefono sperando di trovare qualcosa di suo, con addosso l'ansia di un ragazzino.


21 agosto

La ragazza dagli occhiali scuri e rotondi non credeva a tante cose che le ho detto.
Non credeva nemmeno al fatto che scrivo.
Dice che sono la persona più strana che conosca.
E non so se prenderlo per un complimento o meno.
-Cosa hai scritto su di me? "Oggi ho regalato una minifoca a una ragazza che ho conosciuto sulla spiaggia."-
Sarebbe stato carino effettivamente, ma non sono così creativo.
Facevo il cretino quando l'ho vista la prima volta. (Il fatto che stia cominciando a raccontare così non è affatto un buon segno). Facevo il mio lavoro: far ridere la gente. Un po' come nella canzone di Cremonini "e se ridi poi vuol dire che una cosa la so fare".
E insomma ero in riva al mare che ballavo una delle tante canzoni stupide per i bambini. Vedo questi occhiali rotondi, e penso che alle persone di solito stanno male, mentre a lei no. Mi guarda e si vergogna, e mi vergogno un po' anche io.

-Scrivi ogni giorno?-
-Dipende come mi prende. Quando c'è qualcsoa che merita inchiostro e non può starmi dentro va su carta.-

E quelle iridi castane nascoste dietro a due lenti scure devono camminare un po' da queste parti.

Borghi

Campiglia Marittima, 15 agosto, circa mezzanotte e mezzo.

Mi è passato davanti agli occhi un miraggio in questi giorni. Il cuore mi batteva forte, ma era solo l'effetto del caldo e della stanchezza.
Stasera, dopo aver ripreso l'auto dallo stabilimento, sono salito qua a Campiglia.
Il sonno non c'è.
Avevo voglia di camminare tra le salite e le discese di questo piccolissimo borgo.
Ho preso strade che non conoscevo, consapevole che mi sarei potuto perdere.
Cerco la mia guerriera.
Passeggio tranquillo per i sentieri della mia mappa personale, sapendo che prima o poi troverò orme simili alle mie.
Da quassù si vede tutta la città. E mi viene una necessità tremenda di stringere qualcuno a me. Qualcuno che si fidi di me e del quale saprei di potermi fidare ciecamente.
Questi mesi sono un balzo in avanti inaspettato, quasi.
Sapevo che mi avrebbero portato a qualcosa, anche se ancora sono nel suo bel mezzo. 
Qualcun altro pensa alle mie stesse cose.
So che in questo periodo le nostre costole si sfiorano.
Tra poco torno a casa.

martedì 8 aprile 2014

caffè

-Tieniti la tua acqua sporca, io mi prendo il mio caffè, forte, intenso-
-Corposo...-
-Ecco, tu sei così, corposo.-

lunedì 24 marzo 2014

Tasselli p.6

7 gennaio 2014

Da casa sua si sente il rumore del mare.
La tenevo tra le braccia, sul divanoletto di quel minuscolo monolocale; avrei voluto dirle mille cose belle, ma non riuscivo. E allora la tenevo stretta, il mio petto era il suo cuscino. Il suo respiro si mescolava al rumore delle onde.
Poche volte nell'arco della mia breve vita avevo provato una sensazione di pace e serenità così profonda.
Ci eravamo addormentati così, con quella sensazione di caldo piacevole in tutto il corpo, nonostante fosse il giorno di Befana e fuori ci fossero sei gradi.
Con la TV accesa e Joel Barish che cercava in tutti i modi di non dimenticare la sua Clementine.
Mi addormentai con il suo corpo dolcemente stretto al mio, mentre fuori il mare faceva le fusa come un gatto davanti al camino.

Era nel piccolo angolo cucina a metter su l'acqua per una pasta in bianco delle undici di sera.
Mi ha guardato e mi ha chiesto.
-Cosa ne pensi di noi due?-
Il tono era calmo e tranquillo, era sinceramente interessata a ciò che provavo e pensavo.
Ma io cosa pensavo?
Fondamentalmente non volevo pensare a niente.
Se in quel momento mi fossi messo a pensare e riflettere sul rapporto tra me e lei avrei mandato sicuramente a puttane tutto il lavoro fatto su di me fino a quel momento.
(15:10)
Tra qualche settimana dovrò dare finalmente sto cazzo di esame.
Ora sono qua ad ascoltare cose che teoricamente dovrebbero servirmi.
Stanno parlando di come verrà dato il giudizio finale, secondo quali criteri, non sappiamo ancora quanto peso avrà l'esame rispetto al corso e allo stage.
Parlano di numeri e percentuali.
Non mi dispiace stare qua, ma al tempo stesso preferirei essere altrove.
Una ragazza del corso serale hai capelli verde mare. E mi viene in mente il film che abbiamo visto ieri sera.
Sto già associando a lei molte cose. L'odore d'incenso nella piccola stanza, le notti passate abbracciati con la sete e il caldo ai limiti del sopportabile nonostante siamo ai primi di gennaio.
-Si risparmia sul riscaldamento.- dico io.
Le canne fatte e quelle rifiutate.
Io che vorrei baciarla, ma mi controllo; lei che se ne accorge, apprezza e arrossisce.
Ed è così bella quando le sue guance assumono quel colore caldo e dolce. Sembra una bambina.
La sua mano che accarezza il braccio all'altezza della mia maglietta.
L'attimo in cui volta il viso e mi guarda, e io non ci capisco più un cazzo e inevitabilmente mi domando perché.
Come quando era in piedi davanti a me, in tutta la sua femminilità, mi ha guardato e si è sciolta i capelli.
Stavo parlando, ma non saprei più dire di cosa.
Il mondo si è fermato per fare spazio ai suoi capelli.
E' stato come vedere un'aurora boreale, uno di quegli spettacoli che vedi una volta in tutta la vita, se hai fortuna.
Il mio mondo si è fermato come se avessi visto lo sbocciare di un qualche fiore unico nella sua specie.
Ed era bella.
D'una bellezza che non avevo mai visto prima.
Era dolce, d'una dolcezza che non avevo sentito mai.
Proprio ieri mi domandava cosa intendessimo per bellezza tutti noi che le diciamo esser bella.
E' ciò che sto provando a spiegare.
A volte è difficile, le parole si ingarbugliano tra loro e il cuore si mette in mezzo.
Quando si è con lei, tutti diventano ammantati di una luce divina che li rende belli.
Ha la forza di una guerriera e al contempo la fragilità del cristallo e la dolcezza di un petalo bagnato di rugiada mattutina.

Tasselli p.5

24 dicembre 2013

Sembriamo due animali percossi.
Ci giriamo attorno, siamo attratti l'uno dall'altra, ma ci hanno picchiato in passato.
Conosciamo bene l'odore del sangue e della paura.
Sapremmo pure fare a fare del male, ormai abbiamo imparato mille modi, persino i più subdoli.
Eppure decidiamo di sorriderci.
I nostri occhi sono profondi e caldi. Nei tuoi vedo un po' dei miei.
Sono le pupille di due anime che hanno sofferto tanto e amato ancora di più.
La vedo la paura.
Sento che l'aria è pura e pulita, ma al tempo stesso c'è qualcosa che ci impedisce di essere noi stessi a cuore aperto.
Sono felice di non averti incontrata prima.
Perché tutto cià che abbiamo passato ci ha portato ad essere le persone che siamo. E sei bellissima.
Insieme lo siamo anche di più.
Riposati qua, le mie sono braccia sicure, sono pilastri di marmo rivestiti di coperte calde e morbide. Riposati e fai prendere fiato al cuore.
E lo so che preferisci parlare piuttosto che leggere qualcosa di scritto. Ciò che è scritto però rimane. Non si dimentica, non si possono fraintendere le frasi.
Tu hai addosso la bellezza di chi ha sofferto, di chi ha camminato scalzo tra la merda e il male e il dolore.
Di chi ha visto il peggio e nonostante questo ogni giorno esce di casa con un sorriso che squarcia le nuvole.
Grazie a te ho imparato ad amare il sole.
Siamo persone che hanno visto troppo, hanno combattuto sempre per gli altri e poco per loro stessi.
Ora pensiamo a noi.
Riposati se sei stanca, chiudi gli occhi.
E se devi piangere fallo.
Non pensavo che tu potessi essere una ragazza così fantastica.
Hai gli occhi di fuoco.
Sei bollente.
E ti meriti qualcuno con cui poter abbassare la guardia senza aver timore. Con il tempo, mi piacerebbe imparare ad essere quel qualcuno.
Grazie, Carmen, di far parte della mia vita.
Che ogni giorno possa essere sempre Natale.
Auguri uragano di donna.

mercoledì 19 marzo 2014

Spazzolini da denti

Era un mese fa, e mentre dormivi abbracciata a me mi hai domandato se per me tu fossi solo una specie di "donna di compagnia". Mi sono sentito quasi offeso da quella frase, perchè davvero, tu la vita me l'hai cambiata e lo sento il rumore delle onde e il caldo di casa tua.
C'è ancora il mio spazzolino da denti nel tuo bicchiere.

domenica 16 marzo 2014

Quindici minuti


"Era una di quelle giornate in cui tra un minuto nevica. E c'è
elettricità nell'aria. Puoi quasi sentirla... mi segui? E questa busta
era lì; danzava, con me. Come una bambina che mi supplicasse di giocare.
Per quindici minuti. È stato il giorno in cui ho capito che c'era tutta
un'intera vita, dietro a ogni cosa. E un'incredibile forza benevola che
voleva sapessi che non c'era motivo di avere paura. Mai. Vederla sul
video è povera cosa, lo so; ma mi aiuta a ricordare. Ho bisogno di
ricordare. A volte c'è così tanta bellezza nel mondo, che non riesco ad accettarla... Il mio cuore sta per franare."

Scrivere

"Mi incuriosisce di più morire, mi dispiace solo che non potrò scriverne"
Tiziano Terzani

sabato 15 marzo 2014

37 non è febbre

Mia madre ha sempre detto che 37 non è febbre, o forse era la mamma di Giulia che lo diceva? Non mi ricordo esattamente, fatto sta che qualcuno me lo ha detto spesso. 37 è la temperatura che mi fa più girar le palle invece, perché non puoi far niente, ma sei comunque consapevole della tua condizione di pseudo-malato. E' un limbo strano. A tratti hai appetito e a tratti no, oggi ho mangiato fette biscottate e miele e bevuto tisane come se non ci fosse un domani, ora non faccio altro che andare a pisciare, ovviamente. E insomma, finchè hai un po' di raffreddore ma nessun tipo di rincoglionimento te la cavi anche; quando la temperatura sale a 38 e oltre sei talmente rinco che nemmeno ti rendi conto di quel che fai e non puoi far altro che dormire. Ma 37 è il dramma più totale. Quando poi sei a 36,9 è anche peggio, perché nessuno la considera febbre (perché effettivamente non lo è) e quando dici che non ti senti tanto bene si chiedono se magari hai bevuto troppo la sera prima.
E quindi me ne sto ancora nel letto, a sperare di esser meno rincoglionito domani mattina. Mi riprovo la temperatura, va'.

Carmen ieri mi raccontava di un dialogo sotto la doccia. C'era francesca, la nuova arrivata, che ragionava di un possibile interessamento verso una donna, era però preoccupata dal fatto fisico. Nello spogliatoio c'era anche Simona, Simona convive da due anni circa con una ragazza, ed è più uomo dentro che donna. Carmen e la Simo si son guardate, c'era un'ovvia intesa tra di loro. "Stai tranquilla, Fra, che quando ti innamori, del fisico non ti interessa niente." aveva detto Carmen.
Ero felice mentre me lo raccontava, sapevo che in quel poco tempo in cui ci eravamo frequentati aveva capito realmente chi ero, si era innamorata di me andando oltre il corpo. Si era innamorata di me, come io mi ero innamorato di lei.
Trovi certi occhi in giro, per le strade, che ti rimangono incastrati tra le ciglia. Non potranno mai essere tuoi, perché nessuno appartiene a nessuno e niente è nostro, ma siamo energia, siamo noi stessi quegli occhi e quello che ci hanno lasciato nel momento stesso in cui hanno incrociato i nostri. Quando cammino sento ancora i loro passi accanto ai miei. C'è nostalgia, dentro, per qualcosa che non hai mai avuto l'opportunità di vivere. Nostalgia per i piatti mai lavati insieme, per il momento esatto in cui uscendo da far la spesa ed entrando in macchina già sapevi che tutta quella era una bellezza talmente grande e talmente forte che avrebbe avuto la stessa durata di una scintilla.

E comunque sto ancora a 37.

20:43

Allora. Sono le 20:43 e sono nel letto a sentire un monologo di Terzani sulla vita e sul dolore. Ho qualche linea di febbre e mi bruciano gli occhi, com'è normale che sia dopo aver passato tutto il giorno davanti al computer. In questo periodo sto bene, sono quasi felice direi, e a parte qualche disagio nel sistema immunitario tutto va abbastanza bene. Gente si fa avanti per farsi fare tatuaggi, riesco a gestire civilmente (per il mio bene) i rapporti con gli altri e conosco persone stupende. Finalmente vivo. A gennaio, io sono stato un passaggio per Carmen e lei lo è stato per me. E non c'è niente di più bello al mondo. Non ha senso starsi a lamentare per quello che non si ha, la vita fa schifo e bla bla bla sì ok, e se non ci puoi far niente è inutile pure starci a sprecare energia dietro. Piuttosto preferisco pensare che sono arrivato dove sono ora, mi guardo allo specchio e mi piaccio, non sarò un figo ma chi cazzo se ne frega, sono io e mi vado bene così. A fine anno mi opererò, se dio vuole, ma non ho fretta.
Due persone hanno detto che negli occhi ho nascosto delle cose per la persona giusta, ma nemmeno mi sbatto più di tanto per cercarla. Mi piace conoscere persone e filtrare quelle che possono farmi del bene e alle quali posso io far del bene e quali invece no, e questo non potrà far altro che farmi star meglio.
Stasera gli altri sono al compleanno del Virgi, io no, è stato meglio stare a casa e evitare un contagio di massa e un peggioramento mio. E un po' può essere interpretata metaforicamente. Se le mie energie sono in disequilibrio, è inutile andare in un ambiente dove sai che porteresti altro disequilibrio. Riallineati con te stesso e poi vai, gioverai sicuramente di più a tutti.

E poi pensavo, che ci posso fare, io mi innamoro di tutte le persone con cui mi trovo in sintonia estrema, alla fine è un modo per amare anche me stesso e quello che ho intorno.

mercoledì 12 marzo 2014

Tasselli p.4

-Sei solo stanco di essere solo, perché fondamentalmente è così che ti senti. Hai un potenziale che nessun altro ha e la tua voglia di accompagnarti con una ragazza ti porta a dare e a regalare quell'amore che hai dentro a chi incontri nel tuo cammino, ma che poi alla fine non è altro che un passaggio. Hai una passione dentro che Dio solo sa descrivere. E ne hai talmente tanta che sei riuscito a buttare già il mio muro. Cosa che nessuno mai era riuscito a fare fino ad oggi. Tu ci sei riuscito, perché hai auto costanza e determinazione. Sei bello, sei bravo, sei passionale, sei un fuoco che arde di un calore tanto forte quanto morbido e accogliente. E tutto questo non spaventa, ma lascia senza parole. Sei un cavaliere che va in giro con cuoio e paglia, sì, ma Dio solo sa quanto può essere forte la paglia e quanto può essere duro il cuoio. Sei un gran cavaliere. E non ti puoi fermare, non devi. Non è ancora il momento. Non è il tuo momento. Esiste una cosa che non finisce mai, quella cosa si chiama emozione. Quella non finisce.-
-Le persone in quanto esseri fisici finiranno sempre, qualsiasi cosa ha un termine, ma non si distrugge. Si trasforma e si rinnova. In qualcosa di diverso.-
-In qualcosa di bello.-
-E' energia. Tu sei energia.-
-Siamo tutti energia.-
-Non ha senso privarsi di qualcosa che ci fa stare bene adesso. Per questo sono costante in tutto.-
-No, ma bisogna saperlo gestire.-
-Ovvio.-
-Sennò ti fai male. Lo so che lo sai.-
-Carmen, perché questi discorsi? Sto rispettando tutto quello che dici di provare o non provare. Qual è il punto della questione? Dove vuoi arrivare? Non è detto che ci sia per forza un punto. Non dirmi però cose come "non sono io la tua, non sono io che ti merito" et simili, perché abbiamo scelto entrambi ancora prima di averlo chiaro in testa. E non si tratta nemmeno di scelte. Sono sensazioni che segui e quando le contrasti ecco che ti fai male. Perché blocchi il flusso.-
-Certo, si chiama vita questa. Avere il mondo addosso e poi senza neanche accorgertene tutto sparisce. E non voglio affrontare questi discorsi. Perché io non sono nessuno per dirti se sono cosa giusta per te o no. Te l'ho detto perché l'ho pensato, ma adesso basta.-
-Io ho scelto te come un contadino sceglie la terra dove seminare. Come dicevi ad Antonio: il contadino sa e basta. Percepisce.-
-...-
-E comunque non è vero che non sei nessuno.-
-Mmm... Va beh... Che mondo sta Capoeira.-
-Quando vai contro te stessa ti stanchi, tienitelo come un post it sulla fronte. Qualsiasi sia la tua strada seguila, e se mi vedi accanto a te prendimi, perché io ti ho già presa. So continuarlo da solo questo sentiero, ma in due, due come possiamo essere io e te tutto diventa la nostra "palestra".-
-Toru, mi metti cose nella mente che non mi appartengono.-
-Io in testa non ti metto nulla. Ti dico quello che penso, quello che mi fai provare tu come anima, come persona. Te segui te stessa, che a me so pensarci da solo.-
-Questo lo dici te, se con te mi confronto, ti ascolto, mi ascolti, avviene uno sambio di opinioni. Quindi tu metti cose in testa a me e io cose in testa a te.-
-Ma bisogna filtrarle.-
-Tu non sai in realtà quello che io penso realmente di te. Di quello che abbiamo condiviso. Se ci pensi, oltre a farti dei complimenti, oltre a vivere giorno per giorno con me in questo periodo, tu sai solo quello che ti ho voluto dire. Quello che ti ho voluto raccontare. Ma quello che veramente ho dentro non lo sai. Non sai quello che provo, perchè alla fine non te l'ho mai detto. Non sai realmente cosa ho dentro di tutta questa esperienza accanto a te. E tanto meno voglio raccontartela. Me la porto con me nel sonno, e va bene così.-

martedì 11 marzo 2014

Malattia

"Scrivere è una malattia, come la perla."
(R. Musil)

Alanis Morissette - Thank U (Official Music Video)

Tasselli p.3

Le avevo accarezzato il viso, domandandole se avesse mai fatto l'amore.
Lei aveva annuito.
-Con te si può fare solo quello.-
Avevo socchiuso gli occhi, una barriera sotto lo sterno era andata in frantumi.
E' stato in quel momento. E' stato in quel momento e in pochi altri attimi, che ho sentito l'universo intorno e tutto il mondo fisico farsi rarefatto e scomparire quasi. Eravamo parte dell'energia cosmica, eravamo potenziale allo stato più ancestrale. Ioelei. Così, tutto attaccato, come lo eravamo noi.
La guardavo e i suoi occhi sprofondavano tra le mie pupille. Sì, lo ripeto di nuovo, è che nei suoi occhi io ci ho visto la vita. Ho visto tutti i suoi ventidue anni condensati in un'iride castana. Ogni sfumatura era una parte diversa del suo passato.
Intorno l'aria era rossa tenue. Rossa come velate di rosso erano le sue guance. 
E le sue labbra che si fondevano con le mie ridavano nuova linfa al mio corpo stanco del troppo vagare errante.
Ad un tratto mi sono bloccato e l'ho guardata, ho sentito il petto esplodere da quanto bello fosse il suo volto e dall'espressione che aveva in quel momento.
-Una cosa giusta l'ha fatta tua madre.- avevo sussurrato, stordito.
Lei mi aveva guardato.
-Cosa?-
-Te.-

Pausa delle cinque

Dal mare si sente il rumore di casa sua.
La spiaggia dopo il temporale é un uomo dopo una crisi di nervi, duro e compatto, non ci sprofondi. Ha la calma della stanchezza, lo sciabordio dei pensieri. Il cielo é sempre carico di nubi scure, in lontananza vedi un colore arancio tenue. si sentono ancora i tuoni che vanno su altre sponde. Mi viene alla mente Laura e quella sera della pizza sul muraglione. Era buio, c'era una tempesta in arrivo e vedevamo nitidi i lampi. Mi aveva detto che noi eravamo come loro. Delle luci abbaglianti solo per degli istanti.
Comincia a piovere.
E con quell'unico gesto che mi piace nei fumatori, me ne vado.

lunedì 10 marzo 2014

Guaranteed

Ascolta

Ascolta, c'è qualcosa che on va, perchè tutto qua sa di te.
C'è il profumo di casa tua quando apro l'armadio. C'è il profumo dei tuoi occhi sulle mie palpebre.
E' rimasto tutto attaccato addosso. Mi sei rimasta incastrata tra le ciglia e nelle pieghe delle mani. 
Difficile. Sarà molto difficile riprendere a camminare senza cercare il suono dei tuoi stivali accanto ai miei piedi.

Il viaggiatore errante continua per il suo sentiero non segnato. E' lui stesso ad aprire nuove strade nel deserto.
Capita a volte che incroci delle orme. Le segue, e sempre lo conducono ad un'oasi grazie alla quale può stendersi e far riposare l'anima.
Ha il volto coperto da un velo scuro, solo lo sguardo è scoperto. Le piante dei suoi piedi sono bruciate dalla sabbia rovente, ma egli è abituato. Ha dei piedi adatti al terreno che scotta. Le sue sono gambe forti che non lo tradiscono mai. 
Una volta ristorato riprende il suo cammino, sa che quell'oasi non è sua, niente gli appartiene, è tutto una sua parte intrinseca.
Il guerriero è fatto delle stesse molecole del mondo che lo circonda.
E' il mondo stesso e ogni persona che condivide il suo cammino lo sa, sono i suoi occhi a parlare.
Le parole sono solo un mezzo per dissipare i fraintendimenti. Egli parla con gli occhi e con i movimenti del suo corpo.
I sentieri sono creati dai suoi piedi e da quelli degli altri viaggiatori come lui.
Quando il guerriero viaggiatore incontra uno come lui, puoi vedere entrambi che danzano al ritmo del cosmo.

Masticando l'asfalto

E pensare che non ero nemmeno più tanto convinto di partire per Treviso. Ieri non volevo più venir via. Sono andato a trovare i ragazzi del gruppo di capoeira di lassù.
Avrei dovuto vedere Laura, volevo darle la bozza del libro che ho pubblicato da poco, dato che la riguarda. Dentro ci ho messo molte cose che ho scritto qui, ma devo sistemare dei dettagli che altrimenti capirei solo io e pochi altri.
Avrei dovuto vederla, ma alla fine (e me lo immaginavo) ha detto che non riusciva a venire. E' riuscita a diplomarsi finalmente a quel cazzo di conservatorio e domenica faceva una festa. Sicchè nulla. Penso che passerà davvero molto tempo prima che possa esserci un'altra possibilità del genere, anche se a maggio andrò a Jesolo per il cambio di cintura. Dubito che avrà la possibilità e/o la voglia di fare un salto.
Nonostante tutto ho riconfermato la mia voglia di viaggiare, di non stare fermo in un punto. Il viaggiatore errante che ho dentro scalpitava come un cavallo in fermento. Ho voglia di mangiare l'asfalto, di bere le carreggiate e abbracciare le nuvole. Ho voglia del mondo.
Ho voglia di camminare. Di conoscere gente nuova, di scoprire i loro cuori, le loro storie.
Voglio condividere con loro la mia pelle.